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Va di moda la musica di confine

 

Eppure tutta la musica, per sua stessa natura, sta al confine: tra la materia e l’antimateria, tra la terra e il cielo, tra l’udibile e l’inaudito.
Si tratta di intendersi sulla parola “confine”. Piace pensare a una terra della creatività, dove si può trovare un’essenza distillata d’uomo, che pur restando ancorato a un luogo si sente in esodo permanente, porta abiti di popoli diversi senza nascondere il senso di nudità dell’essere; che canta melodie di cui ode l’eco da un lembo all’altro del continente, ma che non appartengono a nessuno se non alla specie umana. Non c’è altra terra come l’Andalusia dove si respira quest’aria sincretica di giardino e di deserto, dove una chiesa gotica s’innesta su una moschea come a creare un nuovo frutto esotico: nella musica di Manolo Sanlúcar ognuno si può cercare per ciò che è imbarcandosi su una tavola galleggiante, in navigazione tra un oceano periglioso, freddo e un mare a tinozza, confortante e mite. L’avventura emotiva dondola fra tragedia ed elegia, misura ed esondanza, carne e spirito con una tensione forte verso una bellezza cruda, palpabile.
Figlio d’arte, Manolo è prima tocaor di flamenco che non si compiace del suo virtuosismo tecnico, ma insegue la virtuosità immaginifica prima, formale poi; scrive senza lasciarsi imbrigliare da etichette o convenzioni, mirando a colpire il pubblico allo stomaco con misura, proporzione. Molti compositori del secolo scorso hanno scritto per orchestra o gruppi da camera pensando all’estetica chitarristica senza aver mai manipolato lo strumento: Debussy, Ravel, de Falla, Albeniz per citare i casi più clamorosi; sono recenti le composizioni di chitarristi che proiettano la poesia delle sei corde su uno schermo esteso, con un’intera tavolozza orchestrale a disposizione sulla quale piegano gli altri strumenti alle scomode armonie quartali, al melodizzare modale che costituisce il nocciolo sonoro dello strumento senza mortificare il senso classico della forma. È il caso della Fantasia para Guitarra y Orquestra, di Trebujena e di Medea, composta da Sanlúcar per il Ballet Nacional d’España e che ha fatto il giro del mondo.
Navigando s’inganna il tempo narrando vicende epiche di terra: per questo Sanlúcar intreccia musica e parole in Tauromagia tracciando una storia della corrida: dal toro al pascolo fino alla salita trionfale del torero per la Porta Grande (Puerta del Principe) mescolando sentimenti di euforia e morte, vivezza e vertigine, evocando gli umori di un’antica festa latina.
L’ultimo lavoro è Locura de Brisa y trino, che si poggia su poesie di Federico García Lorca vivificate dalla voce straordinaria di Carmen Grilo e testimonia quella rivoluzione silenziosa che l’artista compie verso l’anima flamenca: non travestitismi o imbiancature di facciata, ma un’estensione meditata della tecnica compositiva modale e del sentimento che la accompagna. Dovessimo spiegare a un non musicista che cosa è la modalità gli parleremmo di un sistema che organizza i suoni per continui, imprevedibili giochi di tensioni e distensioni brevi, che evocano un senso profondo di incertezza, colorata ora di furore demoniaco (il duende ispanico) ora di remota pietas: un modo di scavare i destini comune ai musulmani, agli induisti, ai cristiani, una memoria di quando cantare a Dio era la principale occupazione dell’uomo. Nello stesso tempo è un’efficace rappresentazione della contemporaneità, rapida e instabile, che ci costringe a uno stato di apnea permanente.
Il confine nel quale l’arte di Sanlúcar si alimenta quindi è temporale: sta tra il passato remoto e il futuro più ignoto e si radica su un territorio che ancora oggi non si vergogna di consumare riti magici, ballare sui passi degli antenati, interrogare le forze del bene e del male leggendo il sangue di animali sacri agonizzanti.
Manolo Sanlúcar, toccando le sei corde della sua anima, percuote le nostre, assetate di palpitazioni estreme.

 

Gianni Nuti (da www.sistemamusica.it)