Un profilo di Annette Peacock
Annette Peacock è una delle più grandi artiste viventi. Chi la conosce bene non ha alcun dubbio su questa affermazione perentoria. Purtroppo i fortunati estimatori della enigmatica cantante-pianista e pluristrumentista non sono molti, anche perché non è mai stato facile seguire nei dettagli una talentuosa carriera che per forza di cose si è mossa seguendo tutto fuorché l'ovvio, ignorando volutamente i percorsi segnati e le convenzioni discografiche e commerciali.
Nella natia New York ha iniziato da bambina ad appassionarsi e a dedicarsi alla musica e si è trovata nei primissimi anni sessanta, giovanissima, a vivere intensamente il periodo di rivoluzione culturale che si stava srotolando nelle strade. Dalla corte di Timothy Leary è passata senza remore ad essere parte attiva nei gruppi di Albert Ayler, uno dei musicisti più importanti di tutto il movimento del free jazz. Le porte dell'avanguardia newyorkese si sono aperte definitivamente per lei dopo il matrimonio con Gary Peacock, allora bassista di Ayler, un musicista che è ancora oggi uno dei massimi esponenti, al fianco di Keith Jarrett, di quel jazz di elevato spessore artistico, caratterizzato da uno spirito di costante ricerca, basato essenzialmente sulle grandi doti virtuosistiche dei suoi interpreti.
Verso la fine degli anni sessanta Annette conobbe Robert Moog e, con la sua complicità, decise per prima di utilizzare in ambito jazzistico gli ingombranti prototipi di sintetizzatore che il geniale inventore americano stava mettendo a punto. Il passo successivo fu quello di convincere un recalcitrante Paul Bley (che nel frattempo era divenuto suo marito) ad impiegare anche dal vivo, in modo molto sperimentale, le risorse di questa diavoleria elettronica che veniva usata soprattutto per manipolare la voce di Annette e gli strumenti del gruppo.
Nel frattempo le composizioni di Annette Peacock diventavano parte fondamentale del book del pianista canadese e attraverso di lui del jazz moderno, raffinato e sperimentale. Sono prevalentemente ballad colme di silenzi. Caratterizzate da bizzarri cluster armonici, raffinate, rarefatte, austere ma allo stesso tempo velate di una enigmatica dolcezza femminina molto particolare.
Il tour europeo di Paul Bley con Annette Peacock, del 1972, con il discusso progetto The Synthesizer Show, toccò anche l'Italia, lasciando tracce di sonore polemiche da parte di molti giornalisti specializzati italiani che non molti anni prima si erano fatti notare per la loro incapacità di apprezzare il free jazz, la svolta spirituale di John Coltrane, l'elettricità di Miles Davis e tutto quanto in qualche modo sapeva di novità. Figuriamoci quanto avrebbero starnazzato se avessero assistito alla performance in topless della Peacock alla Town Hall di New York o a suoi esperimenti olografici a Broadway con Salvador Dalì o gli incontri esoterici con Karlheinz Stockhausen.
A metà degli anni settanta Annette si spostò in Inghilterra e diventò rapidamente una delle figure di culto del rock progressivo venato di jazz, collaborando con Chris Spedding, Bill Bruford, Max Middleton, Mick Ronson e tanti altri. Il divino David Bowie tentò inutilmente di farla entrare in pianta stabile nei suoi progetti musicali, a cominciare da "Alladin Sane".
Dopo aver pubblicato una mezza dozzina di introvabili e meravigliosi album a suo nome, quasi sempre per etichette mal distribuite (per esempio Tomato, Aura e Ironic Records), questa musa dell'avanguardia è arrivata finalmente nel 2000 a pubblicare per una etichetta celebre come la ECM di Manfred Eicher, l'esteta per eccellenza del jazz raffinato e della musica improvvisata moderna. An Acrobat's Heart è un album meraviglioso che vede la voce e il pianoforte di Annette alle prese con un quartetto d'archi che lavora in maniera minimalista, per fasce sonore, quasi a voler evocare lo strumento elettronico per eccellenza che Annette portò alla ribalta alla fine degli anni sessanta.
Altri progetti discografici sono annunciati: un disco già completato che uscirà a breve e altre registrazioni già programmate con la ECM.
Maurizio Comandini (da www.allaboutjazz.com/italy)