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Simple Minds

 

I Simple Minds, formati a Glasgow nel 1978 dal cantante Jim Kerr e dal chitarrista e tastierista Charlie Burchill, furono uno dei gruppi più influenti e amati del neo-romanticismo britannico degli anni '80. Vennero alla luce subito dopo il boom del punk-rock, quando l'industria discografica era alla ricerca di antidoti contro la violenza efferata dei punk. I Simple Minds non fecero che continuare la parabola modernista e futurista iniziata dai Roxy Music e proseguita dagli Ultravox in un contesto rispettivamente meno progressive e meno punk.
Il sound di Life In A Day (PVC, 1979) era sostanzialmente una revisione intellettuale ed elettronica del vetusto glam-rock. Dalla loro i Simple Minds avevano un immenso talento melodico e una dedizione per gli arrangiamenti barocchi. Life In A Day si fregia di un superbo lavoro di tastiere, una che tiene la cadenza obliqua intrecciata a una che strimpella un romantico contrappunto melodico. Grazie a una sovrapposizione altrettanto geniale Someone riesce a essere al tempo stesso classicheggiante e decadente. Sad Affair si permette di mescolare grancassa da circo, chitarra hardrock, tastiere fragorose e sassofono alla Springsteen. La marcia mediorientale scandita da un tamburo di Pleasantly Disturbed (otto minuti) sembra un incrocio fra la Venus In Furs dei Velvet Underground e un quartetto d'archi. In pieno glamrock precipita il ritornello più mellifluo, quello di Chelsea Girl. L'ascendente dei Roxy Music è fortissimo su No Cure e Murder Story, e sulle loro partiture per canto sibillino, ritmo saltellante, stacchetti da cabaret delle tastiere. Meno brani nelle atmosfere tetre e lievemente psicotiche, i Simple Minds sono al massimo della loro forma quando intrattengono semplicemente. Le tastiere di Michael McNeil impreziosiscono ogni passaggio di tocchi eleganti, la batteria di Brian McGee è in moto perpetuo, il canto di Kerr si libra angelico e martirizzato.
Real To Real Cacophony (Arista, 1979) non riuscì a ripetere il miracolo. A parte la delicata Carnival e lo strumentale Film Theme incespicò anzi in un soft-rock senza arte nè parte. La crisi faceva presagire la metamorfosi verso un sound più atmosferico, di natura psichedelica, che si compì con Empires And Dance (Arista, 1980). Quell'album, forte di un ballabile tecnologico che è stordente come in Peter Gabriel (I Travel), decadente come nei Soft Cell (Celebrate) e robotico come in Gary Numan (Thirty Frames A Second), toccò nuovi vertici di manierismo nell'ipnotica e orientaleggiante litania di This Fear Of Gods e (sette minuti) nella claustrofobica Room, che assomiglia (di nuovo) alla Venus In Furs dei Velvet Underground, due brani dal forte contenuto ritualistico. Il disco sembra interamente suonato e cantato in un incubo, e non a caso sconfina nel cabaret d'avanguardia con Twist/Run/Repulsion, un duetto fra Kerr (in un registro "brechtiano") e una cantante francese al ritmo, appunto di un twist meccanico. A farne le spese è però la melodia, relegata in secondo piano.
La maturità del gruppo venne alla luce semmai sul doppio Sons And Fascination/ Sister Feelings Call (Virgin, 1981), prodotto da Steve Hillage, un album che tenta di coniare una nuova forma di musica ballabile, che sia al tempo stesso maestosa e atmosferica. McNeil e Kerr compongono di fatto una serie di esperimenti, in parte ispirati al funky tecnologico di Peter Gabriel (The American e Sweat In Bullet), in parte alle cadenze assordanti della discomusic (Love Song e 20th Century Promised Land). La melodia si fa largo in In Trance As Mission (sette minuti), quasi una prova generale per Don't You, e nella funerea ballata-requiem di Seeing Out The Angels. La mano felice per i brani strumentali è confermata da Theme For Great Cities e League Of Nations, immersi in atmosfere sinistre. Benche' fallito, il disco pose le basi per tutto ciò che sarebbe venuto dopo.
Il vertice di questa fase di sofisticato synthpop è New Gold Dream (Virgin, 1982), nonostante la dipartita di McGee. Ora soffice ed etereo (Glittering Prize), ora drammatico e tribale (Promised You A Miracle) il loro è ormai uno stile unico e classico di rock sentimentale pomposo per discoteche intellettuali. Se Big Sleep e Hunter And The Hunted tradiscono ancora l'influenza dei Roxy Music, e Someone Somewhere e King Is White quella di Peter Gabriel, la title-track afferma un'identità melodica sempre più forte. In un certo senso tutti gli esperimenti sui ritmi e sull'elettronica servono solamente a preparare il terreno per una canzone d'alto effetto. Somebody Up There Likes You è lo strumentale atmosferico di turno. Con quest'opera i Simple Minds forgiano un sound barocco, praticamente privo di contenuti ma rilucente nella sua forma.
Benché meno curato e più banale, Sparkle In The Rain (Virgin, 1984) finisce per essere anche più efficace, forse proprio perché rinuncia agli artifici più lambiccati. Al posto dei quali propone l'incedere tempestoso di Up On The Catwalk e Speed Your Love To Me: meno pensiero, ma più azione. I brani pacati, Waterfront, White Hot Day e soprattutto East Of Easter, hanno modo di mettere in mostra qualità più drammatiche, in cui Kerr lambisce l'enfasi di Bono (U2). Le percussioni rubano però la scena al resto, deturpando a lungo andare il delicato equilibrio che era il segreto del complesso (un difetto che questa volta inficia anche lo strumentale Shake Off The Ghosts).
Una svolta decisamente commerciale venne segnata da Once Upon A Time (Virgin, 1985), con le indegne concessioni all'AOR di Alive And Kicking, Sanctify Yourself, Ghostdancing e All The Things She Said e una chiassosa epopea alla Springsteen, Oh Jungleland. Nel frattempo era però uscito il singolo Don't You Forget About Me (1985), uno dei ritornelli più memorabili di tutto il pop britannico che farà di Kerr una susperstar (ma il brano non è dei Simple Minds, è di Keith Forsey).
Per quanto la qualità degli arrangiamenti sia mozzafiato, l'enfasi patetica alla U2 riduce l'ultimo Street Fighting Years (Virgin, 1989) allo status di tragicomica. Non bastano Ballad Of The Streets e Belfast Child a giustificare lo spiegamento di mezzi e la seriosità dell'operazione.
Giù per quella china, Real Life (Virgin, 1991) non riuscirà a sfornare altro che See The Lights e Let There Be Love, due canzoni che sono emblematiche di come un sound possa diventare la parodia di se stesso (non a caso MacNeil è stato sostituito da Peter Vitesse).
Ancor più sottotono il ritorno del gruppo, con Good News From The Next World (Virgin, 1995), formalmente impeccabile ma privo della canzone di punta (She's A River?) o di un ritornello che si faccia ricordare.
Neapolis (Chrysalis, 1998) e il suo singolo Glitterball passano inosservati.
Neon Lights (Eagle, 2001) è un album di covers.