Shostakovich, tenerezze e austerità
Quando nel 1951, per commemorare il 200° anniversario della morte di Bach, Shostakovich pubblicò, dopo averli composti con enorme rapidità, i Ventiquattro preludi e fughe op. 87, probabilmente nei paesi occidentali ben pochi se ne accorsero. La prima incisione discografica fu affidata, molto tempo più tardi, alla prima esecutrice, Tatiana Nikolayeva, e fino a qualche anno fa era l'unica disponibile sul mercato. Oggi esistono diverse integrali (perfino una di Keith Jarrett), ma non è facile trovare questi brani nei normali programmi da concerto. Ma già negli anni Cinquanta, gli stessi in cui "infliggeva" al pubblico sovietico l'integrale del Clavicembalo ben temperato di Bach, Sviatoslav Richter aveva in repertorio molti preludi e fughe di Shostakovich, e così anche Emil Gilels. Perché oggi e non ieri il successo di questi pezzi, e in generale della musica di Shostakovich?
Guardiamo alla forma e al loro linguaggio. È chiara l'intenzione del compositore di affermare la vittoria della musica tonale - ventiquattro composizioni nelle ventiquattro tonalità, come Bach, nell'ordine tonale dei Preludi di Chopin - a fronte di un'evoluzione del linguaggio musicale che aveva espresso la dodecafonia e che dopo la guerra stava, in Occidente, viaggiando velocemente verso l'avanguardia più radicale. Ma Shostakovich, chiuso nella sua casa, isolato anche dalla vita pubblica - in quegli anni anche lui, secondo le direttive "culturali" del Partito, era considerato un compositore di "musica degenerata antipopolare e formalista" - non scrive per il presente, e forse neanche per il futuro. Compie un atto di fede nei confronti di un linguaggio considerandolo un po' come un'utopia.
In questi brani, come in tutte le grandi espressioni artistiche, ognuno può trovare il modo di riconoscersi un po'. La persona interessata all'aspetto strumentale-concertistico troverà interesse nella loro talvolta disperante difficoltà tecnica (Richter quando li studiava si ispirava leggendo Moby Dick!). Quella interessata agli aspetti compositivi rimarrà affascinata dalla varietà di soluzioni offerta: una fuga, la Prima, tutta sui tasti bianchi, la Quindicesima con un tema quasi dodecafonico interrotto a più riprese da martellanti cadenze perfette, la Settima costituita esclusivamente da un arpeggio saettante di la maggiore, l'ultima in re minore che col suo scampanio ricorda il finale dei Quadri di un'esposizione di Musorgskij; brandelli di canti popolari, così come di danze sfrenate o stilizzatissime si alterneranno a descrizioni quasi cinematografiche di paesaggi (più dell'anima che reali, però). Lo spirito ipocondriaco del compositore ci porterà con spirito tipicamente russo nei più grandi abissi del dolore, ma anche ci accoglierà con la sua risata beffarda. Tenerezze infinite e austerità conventuali verranno rappresentate davanti a noi in un linguaggio altamente simbolico che ha però il massimo desiderio - ed è questo, forse, il motivo del suo successo oggi - di comunicazione e di reale condivisione con il pubblico dei valori della vita.
Aldo Sacco (da www.sistemamusica.it)