Profilo biografico di Lou Harrison
La vita di Lou Harrison appare come una serie di strati archeologici e allo stesso tempo egli stesso appare come un archeologo: sempre e ovunque ad esplorare nel panorama artistico. II risultato non è, comunque, la mera acquisizione del sapere dato che Harrison ha sempre trovato il modo per unire le sue disparate indagini in sintesi nuove e inesplorate. "Non c'è sforzo alcuno in tutto questo" - osservava Virgil Thomson nel 1987 - "si limita a parlare in molti linguaggi attraverso molti personaggi. II messaggio è Harrison puro e semplice, ed è un messaggio di gioia, abbagliante e sereno, e, anche nel pieno della serietà, mai scevro di una risata".
Harrison è nato a Portland, Oregon, nel 1917 ma ha trascorso gran parte degli anni della sua formazione nel nord della California dove la sua famiglia si era trasferita quando aveva 9 anni (gli Harrison cambiavano città quasi ogni anno e a volte anche più sovente). Harrison compositore è stato comunque celebrato come la quintessènza della West Coast perché il suo lavoro riflette l'abbraccio di quella terra a opinioni diverse, il fascino provato per l'Asia e l'America Latina, la devozione agli spazi aperti.
Lo stile musicale di Harrison è stato forgiato dalla San Francisco degli anni '30, città dove ha studiato composizione con Henry Cowell, lavorato al fianco di danzatori e coreografi come Carol Beals, Bonnie Bird, Tina Flade e Lester Horton e realizzato concerti per percussioni di alto livello con John Cage. Nel 1939, alla Golden Gate Exposition sulla Treasure Island, Harrison ascoltò per la prima volta dal vivo un'orchestra indonesiana di gamelan (un insieme composto principalmente da percussioni, inclusi metallofoni con vari tipi di casse di risonanza, con gong di misure, forme e orientamenti diversi) e in questa città frequentò l'Opera cinese che offriva spettacoli per 25 centesimi. Assieme a Cage, Harrison si divertiva a rovistare nei cimiteri delle automobili e tra i fondi di magazzino alla ricerca di qualsiasi cosa che producesse suoni secchi e metallici e passava ore a provare l'intensità e la risonanza dei vasi da fiori negli asili d¹infanzia locali. Grazie a Cowell, Harrison scoprì le culture degli Indiani d'America e della prima California rimanendone talmente affascinato da rispecchiarle in molte opere della sua produzione. Tra questi la Mass to St. Anthony le cui linee vocali suggeriscono modelli melodici degli indiani d'America inclusi nel rituale religioso della Missione californiana nel corso del XVIII sec. Harrison iniziò a comporre la Messa nel 1939, il giorno il cui Hitler invase la Polonia: il motivo iniziale, un urlo d¹angoscia per la guerra, costituisce una delle sue prese di posizione politiche. Per le Four Strict Songs del 1995, ad esempio, Harrison scrisse un suo testo poetico in stile Navajo; il finale della Symphony No.4 rappresenta una tipica sintesi di Harrison: un baritono solista salmodia una "storia di coyote" Navajo al di sopra del mormorio di un accompagnamento di percussioni che evocano il gamelan giavanese.
Nel 1942 Harrison andò a vivere a Los Angeles dove studiò con Arnold Schoenberg e insegnò al Dipartimento di Danza dell'UCLA. Peter Yates scrive che, all'epoca del suo trasferimento nel sud della California, Harrison aveva composto circa 450 lavori, quasi tutti rappresentati almeno una volta. Un anno più tardi Harrison si trasferì ancora, questa volta a New York, dove rimase per 10 anni; la città gli sembrò affollata e rumorosa e gli era difficile sbarcare il lunario. Anche se strinse amicizia con musicisti, ballerini, pittori, attori la sua vita divenne sempre più tesa. Fu accolto con calore nel circolo artistico di Virgil Thomson grazie al quale incominciò a scrivere recensioni per il New York Herald Tribune (tra il 1944 e il 1947 furono quasi 300). II suo prodigioso talento letterario gli permise di scrivere regolarmente anche per altre riviste: Modern Music, Listen e il periodico d'avanguardia di Charles Henry, Ford View. Il 5 aprile 1946 Lou diresse la New York Little Symphony nella prima esecuzione della Third Symphony di Charles Ives dopo aver curato la pubblicazione del manoscritto, gettato alla rinfusa e dimenticato per più di 40 anni. L'anno seguente, Ives ricevette per questo lavoro il Premio Pulitzer e volle ad ogni costo dividerlo con Lou. Nonostante il successo, Harrison non riusciva ad adattarsi alla vita della grande città: nel 1947 lo stress e la povertà raggiunsero il culmine; un esaurimento nervoso lo costrinse a passare un breve periodo in ospedale mentre il periodo successivo fu per Harrison uno dei più produttivi. Con Jean Erdman, danzatrice e coreografa, compose il quartetto The Perilous Chapel e l'ottetto Solstice. A questo periodo risalgono anche la First for Strings (1948), rielaborata e ribattezzata in seguito come New First Suite For Strings, la cui prima si tenne al National Institute of Arts and Letters nel corso di una cerimonia in cui venne assegnato a Harrison il Creative Grant, e la Suite For Cello And Harp (1949) ispirata alle pitture rupestri di Lascaux in Francia.
Nell'estate del 1951 a Lou venne offerto un incarico accademico al Black Mountain College nella Carolina del Nord e nella primavera del 1952 Harrison ricevette la prima di due borse di studio dal Guggenheim che gli permise di vivere all'interno del College e di dedicare le proprie energie quasi esclusivamente alla composizione. Scrisse, tra l'altro, le Seven Pastorales per orchestra da camera, Songs In The Forest, Serenade per chitarra e percussioni, Praise For The Beauty Of Hummimgbirds e soprattutto l'opera di 50 minuti in 6 scene Rapunzel. Nel 1954 Air From Rapunzel (la preghiera dell'atto III) vinse il Century Masterpiece Award come migliore composizione per voce e orchestra da camera alla Conferenza Internazionale di Musica Contemporanea di Roma. Durante il concorso tutti i lavori venivano eseguiti anonimi davanti al pubblico: Michael Steiberg recensì l'avvenimento per il New York Times. Dopo che Leontyne Price ebbe eseguito Air scrive rapito: "All'improvviso ci fu un lavoro che raggiunse ciò che solo uno dei concorrenti era arrivato quasi al punto di raggiungere. Era un pezzo di musica non solo buono di per sé ma in cui ogni cambiamento di melodia vocale, ogni ritmo o colore nell'accompagnamento erano motivati da qualcosa all'interno del testo. In altre parole, era una vera canzone".
L'opera si focalizza "sulla crescita, sul raggiungimento della maturità interiore e della liberazione dalla schiavitù" e quando venne ripresa a Bonn nel 1993 fu addirittura paragonata al Flauto Magico di Mozart. Nel 1953 Harrison tornò in California e si stabilì nell'(allora) villaggio rurale di Aptos. Il suo ritorno sulla West Coast segna un riallacciarsi dei suoi legami con l'Asia. Nel 1961 visitò per la prima volta il continente asiatico come delegato alla Conferenza di Tokio per l'incontro tra la musica di Oriente e Occidente. Dal Giappone Lou passò alla Corea e, l'anno seguente, a Taiwan dove studiò tecniche strumentali locali e letteratura classica.
Harrison tornò subito al lavoro ideando un insieme di strumenti asiatici e occidentali. Pacifika Rondò, scritto nel 1963 mentre si trovava al Festival of Music and Art of this Century dell'Università delle Hawai in veste di compositore residente, richiede l'uso di sheng, salterio, p'iri, chango, pak e di strumenti occidentali, quali archi, celesta, tromboni, organo, percussioni e fischietti di latta.
Nel 1967 Harrison incontra il suo compagno di vita William Colvig, un esperto in elettricità, musicista amatoriale ed interessato all'acustica. Nel 1971 costruirono un gamelan americano mettendo insieme suoni indonesiani, ciarpame, vecchie esperienze di Lou con le percussioni e la sua fedeltà ai sistemi di intonazione pura; insieme crearono con materiali d'uso comune o facili da reperire una serie di metallofoni di forme differenti (con lattine ammassate in mucchi di grandezze diverse realizzarono le casse di risonanza), e tinozze e bidoni dell'immondizia zincati e taniche d'ossigeno vuote tagliate a lunghezze diverse in sostituzione dei tamburi di bronzo asiatici.
Lou compose tre lavori per questo nuovo complesso: La Koro Sutro per coro e gamelan, la Suite for Violin and American Gamelan e la sua seconda opera Young Caesar, composta in origine per marionette con 5 burattini, 5 cantanti e 5 strumentisti; composizioni trascritte in seguito anche per strumenti occidentali. Nel 1985 il Gay Men's Chorus di Portland commissionò a Harrison i Three Songs per coro maschile, pianoforte, organo e archi.
Harrison non ha mai veramente abbandonato la sua orchestra di percussioni degli anni '30 e si diverte ad usarla come band di supporto nei concerti. I primi esempi in cui la utilizza sono il First Concerto for Flute and Percussion del 1939, il Concerto for Violin and Percussion Orchestra del 1959 e il Concerto for Organ and Percussion Orchestra del 1973. In Music for Violin and Varions Instruments, il solista e accompagnato da un insieme ibrido che comprende, tra le altre novità, 4 mbira africani ("strumento a pizzico") e un vero calpestio di piedi nel finale. Per l'orchestra sinfonica occidentale Harrison ha composto 4 sinfonie: la Symphony on G inizata a New York 1947 e completata solo nel 1966; la Elegiac Symphony (1975) su commissione della Fondazione Koussevitzky; la Symphony No.4 (1990), commissionata dalla Brooklyn Philarmonic Orchestra e dalla Brooklyn Academy of Music; la A Parade for M.T.T. (1995) richiesta dal direttore della San Francisco Symphony, Michael Tilson Thomas, e a lui dedicata. La Elegiac Symphony composta in memoria di Natalie e Serge Koussevitzky, "inerentemente lieta seppur dolente" riflette il dolore di Harrison per la morte di alcuni amici e parenti, soprattutto quella della madre avvenuta il 21 marzo 1947, e del compositore Harry Partch nel settembre dello stesso anno.
Trascorso, ormai, l'ottantesimo compleanno di Harrison, Lou mostra ben pochi segni di voler rallentare il ritmo nonostante le ripetute promesse di ritirarsi. Aveva intitolato la Symphony No.4 l'"Ultima Sinfonia"; avvicinandolo il giorno della prima gli chiesi come si sarebbe comportato in caso avesse dovuto comporre ancora un altro lavoro. "Dovrò chiamarlo L'"ultimissima Sinfonia" rispose scherzosamente e con la solita strizzatina d'occhio: questo commento ben rappresenta il modo in cui Harrison si avvicina alla propria arte, che osserva con gioia e humour, e i suoi strumenti formano un vasto campo da gioco pieno di affascinanti giocattoli e passaggi segreti. Eppure spesso Harrison ha osservato che all'inizio "aveva disposto i suoi giocattoli su acri e acri di terreno" e adesso li può scegliere liberamente, prendendo ciò che in un dato momento colpisce la sua fantasia, e li unisce in combinazioni nuove e stravaganti. Nel corso di un recente concerto al Lick Observatory dell'Università della California gli ho chiesto di esprimere un giudizio sul proprio posto nel panorama musicale occidentale. "Non ne ho la più pallida idea", mi ha risposto, "posso solo dire: Harrison è un vecchio che se l'è spassata un mondo".
Francesca Odilia Bellino (da www.allaboutjazz.com/italy)