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Pierre Schaeffer e la ricerca musicale

 

Pierre Schaeffer: ingegnere, artista radiofonico, compositore, teorico, scrittore, inventore.
Nel 1948, con l'aiuto di alcuni collaboratori al Club d'essai della Radiodiffusione francese, compone dei brani musicali originali e conia un termine generico per definire la natura di questi pezzi: musica concreta.
Ciò che Schaeffer ha cominciato a sperimentare è comporre musica sfruttando i mezzi di registrazione e riproduzione sonora in ogni fase del lavoro di creazione. L'idea è quella di selezionare il materiale tra i suoni esistenti (frammenti di musica tradizionale e rumori registrati), esaminarne le caratteristiche e trasformarlo, così da scoprire qualità sonore a cui l'orecchio non è abituato.
La costruzione musicale avviene fissando definitivamente gli eventi sonori ricavati su un supporto ed è destinata all'ascolto attraverso gli altoparlanti. L'aggettivo "concreto", con cui Schaeffer qualifica la sua musica, si riferisce all'utilizzo di materiali preesistenti, ma soprattutto indica una tendenza compositiva che non intende partire da disegni prestabiliti, bensì dall'esame dei suoni e dal carattere della loro combinazione. Questo modo di procedere, concreto appunto, si oppone a quello astratto della musica strumentale. Una prospettiva nuova, la cui scoperta ripaga Schaeffer dei limti delle apparecchiature a disposizione: pesanti da manipolare e difficili da controllare, incapaci di fornire effettivamente i suoni desiderati.
L'esperienza radiofonica, l'invenzione della musica concreta, i nuovi problemi legati alla diffusione di musica per supporto nello spazio della sala da concerto, le difficoltà e i successi che l'avventura compositiva intrapresa stanno via via portando, e poi lo scontro/incontro con la musica elettronica tedesca e con le varie tendenze dell'avanguardia musicale occidentale: tutto ciò inevitabilmente significa, per Schaeffer e le équipes di scienziati e musicisti che negli anni si costituiscono attorno a lui, un lungo e intenso lavoro di indagine e riflessione sul suono e sulla musica.
Col Traité des objets musicaux, fitto volume pubblicato nel 1966, vengono formalizzati i risultati di questa lunga fase di ricerca. La trasformazione accelerata dell'arte musicale, nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, porta inevitabilmente ad ampliare l'orizzonte, a generalizzare: non si dovrebbe considerare "musica" solo quella occidentale tradizionale, e neanche solo quella occidentale. È un'idea "universale" di musica che apre alla novità.
Da questo punto di vista, se è vero che la musica è un linguaggio, se il suo funzionamento può essere rintracciato nei principi della linguistica, non sembra sufficiente considerare solo il suo aspetto di "sistema di regole da cui ricavare la competenza per esprimersi", poiché in tal modo la si priva della parte di vitalità libera e innovatrice propria del linguaggio. Se la musica ha una langue, occorre restituirle la parole. Le esperienze degli ultimi vent'anni, della musica concreta, elettronica, sperimentale, elettroacustica, ma anche le pratiche musicali delle tradizioni extraeuropee, hanno rivelato l'inadeguatezza della notazione occidentale che si apprende col solfeggio ed è impiegata da secoli per comporre, interpretare, analizzare. Essa è in grado di considerare solo alcuni aspetti dell'organizzazione sonora e musicale e può riferire tali aspetti solo ai suoni prodotti dagli strumenti dell'orchestra. Questa associazione suono-segno, unita all'abitudine dell'ascolto "dal vivo", porta inevitabilmente a confondere il suono con la sua fonte, come fossero la stessa cosa. L'avvento della radio e degli altri mezzi di riproduzione sonora hanno generato una nuova condizione di ricezione: ascoltiamo dei suoni che sono lontani dalla loro fonte originaria. Tale condizione potrebbe divenire acusmatica, potremmo cioè sviluppare un nuovo tipo di ascolto che concentri l'attenzione esclusivamente sul suono, che consideri il suono in se stesso, in un tipo di ascolto che è intendere.Il lavoro in studio porta necessariamente a considerare in modo diverso lo strumento musicale e il materiale compositivo. Non è più possibile considerarli una sola cosa. Il suono è registrato con un microfono, perde la sua natura evanescente per fissarsi definitivamente su un supporto. E questo suono si trasforma allorché viene cambiato il microfono, il tipo di supporto, l'apparecchio riproduttore, l'altoparlante. E non vuole essere lo stesso suono quando si sottopone a trasformazioni intenzionali operate mediante strumenti concepiti per fare questo. Tale realtà implica una ricerca d'équipe che mette in gioco diversi ambiti disciplinari per studiare il suono musicale da diversi punti di vista. Dunque, l'attività musicale è un'attività interdisciplinare. Il suono che riguarda la musica, però, è l'unità di un sistema di comunicazione, una struttura che acquista la sua funzione musicale nel momento in cui si correla con altre strutture allo scopo di costruire l'opera d'arte. Questa unità, qualunque sia la materia sonora che la costituisce e la forma che assume, è l'oggetto sonoro, estrapolato dal contesto dell'opera d'arte e quindi privato del suo valore musicale, oppure, al contrario, preesistente alla musica. L'oggetto sonoro non è un fenomeno naturale, né un prodotto culturale. È, a metà strada, una struttura che percepiamo. La percezione implica un ritorno all'origine, all'oggetto stesso, all'insieme di dati che l'attività intenzionale della coscienza raccoglie per formare l'esperienza e dunque la conoscenza. L'oggetto sonoro in quanto percezione non esiste al di fuori dell'attività percettiva, e quest'ultima è inevitabilmente condizionata dall'esperienza vissuta. Perciò, volendo provare a stabilire dei criteri di identificazione dell'oggetto sonoro che tendono verso l'universale, occorrerebbe sottoporre a una riflessione critica, "mettere tra parentesi", i pregiudizi con i quali ci si pone di fronte a tale oggetto sonoro. L'ascolto ridotto, che corrisponde all'"epochè" (messa in parentesi, riduzione) di Husserl, potrebbe liberare il suono dalla sua causa e dal suo senso, affinché lo si possa considerare in se stesso. L'oggetto sonoro è il frutto dell'ascolto ridotto, l'attività percettiva liberata da pregiudizi e conoscenze. L'oggetto sonoro si rivela quando l'ascolto è epurato da ogni riferimento esterno a ciò che percepiamo e siamo intenzionati a conoscere. L'oggetto sonoro esiste nell'ascolto cieco, quando si vive un'esperienza acusmatica. 
Nel 1956, con Haut Voltage di Pierre Henry e Gesang der Junglinge di Karlheinz Stockhausen, si cominciarono a mescolare suoni catturati col microfono e suoni di sintesi. Per designare tali composizioni miste, agli inizi degli anni '60 si impiegò sistematicamente il termine "musica elettroacustica",  che fa riferimento agli strumenti utilizzati. In tal senso, qualunque musica, "colta" o "popolare", realizzata con l'elettricità, la registrazione e la sintesi, da ascoltare con un sistema di diffusione del suono, può definirsi musica elettroacustica, sia essa per supporto analogico o digitale, per strumento e supporto oppure live electronics. Nell'ambito della musica "colta", l'espressione "musica elettroacustica" risulta efficace quando occorre generalizzare. Generalizzare per parlare, ad esempio, di una dimensione musicale che, in cinquant'anni, ha acquisito un ruolo di primo piano: la dimensione spaziale.
Nella musica elettroacustica l'organizzazione di collocazioni, traiettorie, espansioni, riguarda e correla lo spazio "reale" del luogo del concerto e quello "virtuale" creato sul supporto. Tutto ciò grazie all'utilizzo dei dispositivi di diffusione del suono. Sin dal primo concerto di musica concreta, il 18 marzo 1950 alla Ecole Normale de Musique di Parigi, iniziò a svilupparsi nelle menti dei compositori, l'esigenza di far partecipare l'altoparlante alla creazione musicale. Presto si cominciarono a sfruttare le potenzialità estetiche di uno strumento in grado di proiettare il suono per dar vita, nello spazio, a oggetti musicali in movimento.
L'altoparlante: uno strumento musicale che, in quanto tale, mette in gioco l'"interpretazione". Negli anni furono realizzati diversi sistemi di proiezione sonora per le creazioni elettroacustiche, fra i quali alcuni, concepiti da Karlheinz Stockhausen, Pierre Henry, Christian Clozier, si proponevano, ognuno nel suo modo particolare, come vere e proprie orchestre di altoparlanti. Il gmebaphone (da cui deriva l'attuale cybernéphone) realizzato nel 1973 in seno al Groupe de Musique Expérimentale de Bourges (GMEB), fu concepito da Christian Clozier per l'esecuzione dal vivo di musica composta su nastro, con l'intenzione di porre l'accento sull'interpretazione "in concerto" della musica elettroacustica.
L'interpretazione è ugualmente il principio che guida l'invenzione e l'impiego dell'acousmonium (o orchestra di proiettori sonori), ideato da François Bayle e realizzato l'anno seguente in seno al GRM (il Groupe de Recherches Musicales concepito da Pierre Schaeffer).
L'acousmonium è costituito da diversi tipi di altoparlanti, da collocare, secondo disegni arbitrari ma sperimentati, sulla scena o tra il pubblico. Un "direttore", nel distribuire dinamicamente i suoni agli altoparlanti in concerto, interpreta un brano di musica acusmatica.
"Musica acusmatica". Così François Bayle definiva, agli inizi degli anni '70 le proprie composizioni realizzate interamente in studio e su supporto. Con questo termine egli intendeva innanzi tutto riferendosi all'ideale ispiratore della sua ricerca, vale a dire quello del "puro ascolto". Oggi, soprattutto in Francia, con "musica acusmatica" o "arte acusmatica" si indica un particolare genere della creazione elettroacustica, ossia una forma di spettacolo che mette in gioco la composizione su supporto e la sua diffusione/interpretazione con un sistema di proiezione sonora.
Il senso di quest'arte musicale si rintraccia innanzitutto nel valore attribuito all'aggettivo "acusmatico". Nel Traité del objets musicaux di Pierre Schaeffer, il termine ritorna più volte. Esso deriva dalla tradizionale associazione a Pitagora, e già lo scrittore e poeta Jérôme Peignot, nel 1955, riferendosi alle prime composizioni concrete e alla loro radiodiffusione, aveva utilizzato l'aggettivo "acusmatico" nel tentativo di designare la distanza che separa un suono dalla sua fonte. A p. 150 del Traité del objets musicaux, per esempio, a proposito dell'ascolto musicale si legge che la "situazione acusmatica" rende possibile «l'interrogazione che concerne il suono stesso, le sue qualità propriamente sonore, senza relazione con la sua origine meccanica o un'intenzione altrui […] tale curiosità non scaturisce automaticamente dalla semplice deconnessione del complesso audio-visivo, ma da un'intenzione specifica dell'uditore.»
Su queste basi François Bayle elaborò il concetto del "puro ascolto" e ideò l'acousmonium per la diffusione/interpretazione della sua musica acusmatica. E da qui si è sviluppata l'esigenza di definire più chiaramente gli ambiti, di tracciare dei confini, dando un nome a un particolare genere di musica elettroacustica, che valorizza la dimensione spettacolare dell'ascolto attraverso gli altoparlanti. Il 18 giugno 1998, all'auditorium Olivier Messiaen della Maison de Radio France a Parigi, si tenne la prima esecuzione assoluta di Terra Incognita, opera acusmatica di Denis Dufour, commissionata dall'Ina-GRM. Lo spettacolo fu concepito per due coppie stereofoniche indipendenti, per un'interpretazione professionale con due dispositivi di proiezione. L'idea dell'impiego di due acousmonium, spiega l'autore, è nata con l'intenzione di offrire agli ascoltatori uno spettacolo inedito, un'occasione per sperimentare un nuovo tipo di ascolto. C'è nel contempo l'intenzione di mostrare che il compositore di arte acusmatica può non essere l'interprete delle proprie opere, proponendo così l'interpretazione come vera e propria specializzazione professionale. Alla prima di Terra incognita, l'acousmonium Motus fu diretto da Denis Dufour, l'acousmonium dell'Ina- GRM, invece, da Jonathan Prager.
Anche in Italia oggi si usa definire "acusmatiche" alcune forme di spettacolo che impiegano la musica fissata su supporto e dei sistemi di diffusione sonora. Questi ultimi, quando non sono le tradizionali coppie di altoparlanti, consistono nelle cosiddette "installazioni", creazioni che si ispirano all'arte del design ma, soprattutto, veri e propri strumenti di elaborazione sonora che partecipano alla creazione musicale elettroacustica. Il CRM (Centro Ricerche Musicali) di Roma, da diversi anni si dedica alla progettazione e alla realizzazione di installazioni, impiegandole per l'ascolto di composizioni fissate su supporto. Una particolare recente proposta del CRM, consiste nell'ascolto attraverso i Planofoni. Questi "piani che trasmettono il suono" consentono una diffusione omogenea e agiscono sul suono sfruttando le particolari caratteristiche dei diversi materiali (carta, plastica, ferro, legno, ecc.) con cui possono essere costruiti. La superficie dei Planofoni può assumere qualunque tipo di forma e può collocarsi variamente nel luogo dell'ascolto, per contribuire con coerenza alla creazione dello spazio musicale.
La musica fissata su supporto non offre nulla da guardare con gli occhi. Questa sua particolarità continua a colpirmi molto. Sembra perfetta per l'ascolto domestico, ma credo che non perda il suo fascino neanche nella sala da concerto tradizionale con due altoparlanti frontali. Tanto più che ormai non c'è, a distrarre l'ascolto, l'imbarazzo dello stare seduti, fermi e in silenzio, l'uno accanto all'altro, privati di qualcosa che, protagonista sulla scena, attiri gli sguardi su di sé.
Ho sentito dire, poco tempo fa, che la musica per supporto è ormai superata. Questa affermazione mi turba abbastanza. Le mie migliori esperienze di ascoltatrice, quelle con l'acousmonium di Denis Dufour e Jonathan Prager, oppure con le installazioni e la scultura sonora Infinito di Michelangelo Lupone e del CRM, mi inducono a credere che forme di spettacolo del genere siano assolutamente in grado di restituire senso all'ascolto "in concerto" della musica fissata su supporto ("musica acusmatica" preferisco dire, in ogni caso).
La musica per supporto, l'arte acusmatica, trova le sue origini nella musica concreta di Pierre Schaeffer. Essa esclude qualunque collegamento diretto tra visivo e uditivo, e i sistemi di proiezione sonora, concepiti per la sua diffusione e interpretazione, nel favorire l'ascolto cieco rendono ogni esperienza d'ascolto unica. L'ascolto cieco, però, sta al di là di qualunque genere. È una capacità che l'individuo sviluppa quando c'è l'intenzione. Dunque, la separazione del suono dalla sua fonte o da altre referenze è un fatto mentale più che fisico.
L'idea dell'ascolto cieco ha valore fino a che attribuiamo alla musica, qualunque musica, la funzione di essere ascoltata.

 

Beatrice Lasio