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Oltre i confini della forma

 

Schubert si avventurò con le ultime tre Sonate per pianoforte (settembre 1828, meno di due mesi prima della morte) su una strada monumentale, nella quale l'esperienza del Beethoven eroico e astrale non pareva esser passata invano ma aver prodotto nel contempo una chiara valutazione critica e una ferma volontà di reazione. Questa reazione finì per interessare anche le nuove forme del pezzo lirico romantico per pianoforte, alla cui diffusione Schubert aveva contribuito come pochi. Nelle Sonate si compie infatti una restaurazione della grande forma in quattro movimenti, che Beethoven aveva abbandonato da tempo, e un riassorbimento delle qualità specifiche del pezzo lirico di carattere, il grimaldello della sperimentazione romantica, a cui Schubert si era dedicato per provare nuove combinazioni nei già quasi "brahmsiani" Drei Klavierstücke D. 946, del maggio 1828. […]
Se in questi pezzi di originalissima concezione, per metà studi virtuosistici di movimenti di sonata, per metà Lieder senza voce, Schubert aveva continuamente aggiunto trame all'ordito dei periodi senza porsi il traguardo della sintesi, nelle Sonate, frutto di un approfondimento della forma organica, tese invece a intessere relazioni più generali e a tirare le fila di un ragionamento.
Nate per formare un trittico, ciascuna delle tre Sonate esplora aspetti complementari e distinti di una concezione pianistica ostentatamente classica pur nella qualità romantica dei contenuti: ciò che le accomuna è da un lato la strenua ricerca di una coesione formale, dall'altro l'integrazione dello stile classico nel nuovo statuto del pianismo romantico. In altri termini, sembra che questi ultimi confronti di Schubert con la sonata pianistica mirassero a una ricostituzione e a una ricomposizione dell'essenza e dello stile di un'intera epoca in una visione unitaria, classica e romantica insieme, al fine di renderne piena la sostanza e compiuto il divenire: non rappresentando allegoricamente la vicenda del tempo che scorre, come avveniva prima, ma inglobandone la condizione storica nella tenuta della forma.
La Sonata in si bemolle maggiore D. 960 è la più ampia e sviluppata delle tre, quasi che in essa l'architettura formale dovesse predisporre un ultimo grande arco di trionfo. La costante propensione a una dizione solenne, di natura più epica che lirica, si realizza con una distribuzione oculata dello spazio sonoro: calibrato, mai estremo, raccolto, ma di un'intensità concentrata, cameristico nella scrittura e assottigliato nella strumentazione, e dunque capace di far risaltare per contrasto lo slancio verticale, gotico, delle guglie agogiche e dinamiche. […] Nel primo movimento, il tema cantabile in tempo Molto moderato, che si dipana per gradi nella zona centrale della tastiera, pianissimo e legato, viene interrotto alla ottava misura da un trillo sul sol bemolle nella regione grave. Lo sfasamento tonale che si crea addensa nella pausa seguente un senso di mistero e di attesa: evidentemente la figura stenta a riconoscersi e ad affermarsi. Quando finalmente il tema si è espanso nella sua pienezza, subito Schubert lo riespone in sol bemolle e poi di nuovo in si bemolle su un pedale sospeso di dominante, accrescendo la dinamica fino al fortissimo. Uno scarto improvviso introduce il tema della transizione. I caratteri ritmici e melodici non mutano, ma il tema assume, dal punto di vista tonale e modale, una doppia funzione esplicativa: esso è in fa diesis, che enarmonicamente vale sol bemolle, ma minore. La simmetria tonale si ricompone con il secondo tema, in fa maggiore, ma è nuovamente intaccata dal trillo sul sol bemolle grave alla fine dell'esposizione, questa volta fortissimo-sforzato: insieme un segnale e una sfida. Lo sviluppo inizia in do diesis minore, dominante di fa diesis-sol bemolle: il canto è risucchiato da un vortice modulante che si estende progressivamente al lavorio tematico, inglobandone gli elementi in un processo di frammentazione e di suddivisione; e nel trillo da ultimo si incrina, sempre sulla stessa nota sol bemolle: come se tutto, una volta finito, dovesse ricominciare ciclicamente da capo. Mai come in questo movimento Schubert è giunto a realizzare l'idea di una rotazione ossessiva attorno a un punto instabile, sfalsato e deviante.

 

Sergio Sablich (da www.sistemamusica.it)