Musiche, psiche e benessere
Se è vero che il silenzio che segue Mozart è ancora Mozart, si può forse pensare che la "musica del silenzio" è l'ambiente vitale della nostra psiche, prima che essa si riconosca nei suoni della generatività intrauterina e, attraverso essi, in tutti i suoni dell'esperienza. Oggi abbiamo per la prima volta l'opportunità di sondare questi campi in chiave terapeutico-scientifica. Grazie alle tecniche di visualizzazione del cervello (risonanza magnetica e pet, tomografia a emissione di positroni) stiamo comprendendo come tono, ritmo, armonia e melodia risiedano in entrambi gli emisferi e li attivino con effetti per noi sorprendenti. I più recenti studi sulla neurofisiologia del cervello ci hanno permesso di comprendere un po' meglio quello che l'intuizione creativa dei musicisti ha da sempre coltivato. Il risalto percettivo per il silenzio che segue o precede un suono è altrettanto intenso della percezione del suono stesso; questo fatto istituisce l'esperienza musicale a un livello del tutto privilegiato nella nostra conoscenza percettiva. L'assenza di soluzione di continuità nell'esperienza musicale ne caratterizza il livello psichico primitivo, originario. Quando la nostra mente viene immersa inconsapevolmente nella melodia si riattivano quelle aree cerebrali che ci definiscono come umani prima che come individui. L'esperienza musicale si manifesta così non tanto come potente palliativo, seppure vigoroso attenuatore, odontalgico mirabile liquore – come canta Donizetti – delle fatiche e dolenze quotidiane, bensì come sito di canali per energie sonore a disposizione del nostro essere e benessere. Con ogni probabilità si tratta di un patrimonio legato alla nostra storia ontogenetica e filogenetica, un'identità sonora, un nucleo comune a tutti gli esseri umani in cui si ritrovano le sonorità del battito cardiaco, della respirazione, della voce, dell'acqua e a cui si assommano tutti i vissuti sonori della nascita, della crescita, dell'appartenenza familiare, sociale e culturale. Possiamo allora comprendere le grandi potenzialità d'impiego della musica in aree della vita quotidiana, fisiologica, come l'apprendimento, il concentrarsi nelle proprie attività di studio o lavoro, l'accrescere le proprie capacità intellettive, come sottolinea Campbell nei suoi studi del "Mozart effect"; ma anche nelle aree della patologia come il morbo di Alzheimer, i disturbi psichici, la nascita prematura, il coma. Cosa prevarrà? Forse, fra un po' di anni sapremo se il suono di Mozart che segue il silenzio è una forma privilegiata o no del nostro saper migliorare. Sappiamo già che ci fa bene e ci diverte, riusciremo a controllare la riproduzione del suo specifico benessere?
Monica Barisone (da www.sistemamusica.it)