Musica spensierata e musica ricercata
Il Quintetto n. 1 per fiati di Jean Françaix è del 1948. Considerando la vicinanza con la Seconda Guerra Mondiale, la sua spensieratezza ha qualcosa di un po' irresponsabile. Ma questa freschezza provocatoria è proprio il marchio inconfondibile di uno stile rimasto per tutto il Novecento fedele alla poetica del disimpegno.
Una poetica che, decisa a salvare la musica dalla stretta mortale dell'Espressionismo, amputò cuore e psiche dall'agonizzante corpo, escludendo così dal proprio raggio d'azione molte delle imperfezioni della vita. Da questa crisi di rigetto nacque una musica artigianale, oggettiva e dalle pretese molto ridimensionate, che trovò nella precisione della fattura la sua autentica ragione d'essere, senza dover ricorrere a patenti di profondità o a iniziatiche interpretazioni.
Campione indiscusso di questa "nuova prattica", il neoclassico Stravinskij rientra, a fianco dei grandi maestri francesi contemporanei, tra i modelli del giovane Françaix.
Il Quintetto inizia proprio con un calco dal compositore russo: un'introduzione lenta che sembra l'adattamento per fiati dell'Arioso del Basle Concerto viene liquidata in fretta e furia con l'irrequietezza di chi non sa star fermo un minuto. Segue un Allegro che, come lo Scherzo, non ci porta in nessun posto, ma è tutto un rincorrersi a perdifiato di strumenti eccitati come bambini all'uscita da scuola.
Il peso del pezzo è interamente concentrato nel meditabondo Tema con variazioni. Prima però che il gioco si faccia troppo serio e l'amara realtà ne prenda il posto, le carambole da scavezzacollo riprendono la scena per trascinarci in un finale animato da altri richiami stravinskijani.
La musica sempreverde di Françaix calza oggi a pennello sulle nostre vite svuotate di peso, in movimento continuo da una futilità all'altra. Per capire quanta sorpresa destassero le sue scorribande innocenti nell'impegnato panorama musicale degli anni Cinquanta occorre ricordare le parole di Heinrich Strobel, l'allora direttore della Società Internazionale di Musica Contemporanea: "Dopo tanta musica così problematica e travagliata, la sua era come acqua fresca sgorgata con la spontaneità disarmante di tutto ciò che è naturale".
Negli stessi anni ben altro spettro si aggirava per l'Europa, destinato di lì a poco a scuotere molto più profondamente le certezze assolute dell'avanguardia postweberniana. È il caso di György Ligeti, nato in Transilvania e balzato all'attenzione internazionale dopo l'esecuzione di Apparitions al Festival SIMC del 1960. Fu tra i primi, con le sue ardite speculazioni sonore, ad aprire una breccia nella spessa cortina del serialismo integrale, indicando inauditi spazi da esplorare e nuove vie da percorrere.
Le 6 Bagatelle sono del 1953 e risalgono quindi al periodo anteriore al suo arrivo in Occidente. Sono in realtà trascrizioni per quintetto di fiati di pezzi del ciclo per piano Musica ricercata: un tentativo, per sua stessa ammissione mezzo fallito, di trovare un proprio stile personale. Il continuo sforzo di ricerca è avvertibile in ogni nota; basti pensare che il ciclo è costruito aggiungendo un suono in più a ogni brano, fino ad arrivare coll'ultimo al totale cromatico. Nelle Bagatelle il clima ungherese si fa chiaramente sentire: sghembe danze popolari (n. 1 e n. 4), scampanate funebri (ovviamente in memoriam Bartók, n. 3), spurie commistioni di folclore serbo e rumeno (n. 5) rispuntano come resti delle sue passate spedizioni di etnomusicologo.
Cercarvi le intricate trame del Ligeti maturo sarebbe un po' come pretendere di vedere nei paesaggi russi di Kandinskij le future geometrie del periodo astratto.
Eppure anche in questi lavori così legati allo spirito del tempo c'è già, soprattutto nei ritmi e nei timbri, quel gusto per la sperimentazione che rende la sua musica così riconoscibile.
Passati, per assecondare il volere del padre, gli anni di gioventù nel suo laboratorio di piccolo chimico, Ligeti seppe ritrovare microscopio e alambicco negli incantesimi della musica, per poi sfruttarli con diabolica maestria alla scoperta continua di nuovi magici mondi di suoni.
Alberto Bosco (da www.sistemamusica.it)