Mozart, tra storia e leggenda
Vivere in un'epoca di generale disincanto, come la nostra, ha tra i suoi effetti la fine di innumerevoli leggende e aneddoti che per molto tempo hanno popolato la storia delle "arti belle". Nessuno crede ormai che Zeusi dipingesse uva su cui le rondini andavano a beccare, né che Parrasio ingannasse lo stesso Zeusi dipingendo un velo tanto realistico da indurre il suo rivale a cercare di scostarlo, né ancora che Giotto avesse disegnato una mosca tanto perfetta da indurre Cimabue, suo maestro, a tentare di scacciarla. La storia del diavolo che detta musica a Tartini viene ricondotta nell'ambito delle interpretazioni oniriche, mentre l'idea che un sonno più duro a venire, quello del conte Hermann Carl von Keyserlingk, sia all'origine delle bachiane Variazioni Goldberg viene liquidata come un'amenità, una favoletta buona a incantare solo chi dorme davvero, ma a occhi aperti.
Allo stesso modo, nessuno crede più, oggi, all'immagine di un misterioso messaggero della morte che commissiona a Mozart una messa da Requiem la cui composizione avrebbe coinciso con le ultime settimane di vita del compositore. Un'arte della veglia e della documentazione, la ricerca storica, ha fugato, con dati ben concreti, ogni nostra credulità a riguardo: il Requiem venne richiesto a Mozart da un singolare personaggio, il conte austriaco Franz von Walsegg, proprietario di ampie tenute nella zona del fiume Enns, il quale aveva la debolezza di vantare un grande talento musicale e spacciava, perciò, come sue, musiche scritte per lui da alcuni celebri compositori di allora (analoghe operazioni sono state documentate ai danni, ed economicamente a beneficio, di nomi piuttosto conosciuti all'epoca, come François Devienne e Franz Anton Hoffmeister). Il 14 febbraio 1791 era improvvisamente morta la moglie del conte, non ancora ventunenne, e a lei Walsegg volle dedicare una composizione richiesta a Mozart tramite il suo amministratore, l'avvocato Johann Sortschan. Poiché Walsegg non compariva mai ufficialmente nel suo ruolo di committente, l'avvocato ne difese rigidamente l'anonimato, circostanza alla base delle future fioriture di aneddoti.
In una vita così breve e folgorante come quella di Mozart, non è certo questa l'unica leggenda tramandata, l'unico episodio trasformato in pura narrazione da una memoria che ha significativamente deformato i dati di realtà. Al contrario, si può dire che ogni episodio della vita di Mozart – dalla prodigiosa memoria del bambino che riproduceva alla perfezione composizioni ascoltate una sola volta, sino al fatidico calcio nel sedere con cui venne cacciato dalla corte arcivescovile di Salisburgo e alla morte per avvelenamento da parte di un collega invidioso – sia stato oggetto di un investimento fantastico e sia diventato parte di un romanzo collettivo. Un'affabulazione così estesa e capillare da non poter essere ricondotta a un'epoca di credulità, a un mondo che aveva fiducia nelle favole e che si volle rispecchiare in esse. L'illuminismo di cui Mozart fu contemporaneo aveva combattuto contro questo genere di incantamento e aveva ammesso la creazione di nuove favole solo ove queste fossero un modo per comunicare, sotto metafora, contenuti razionali, proprio come avviene nel Flauto magico, l'opera che Mozart scrisse collaborando con l'attore, impresario e librettista Emanuel Schickaneder. E d'altra parte non c'è dubbio che la vita di Mozart continui a proiettare intorno a sé un alone di leggenda anche oggi, seppure a farsene portatore non è più il genere della biografia romanzata, scritta, ma quello del colossal cinematografico. Dobbiamo pensare, allora, che se una vita è stata così feconda nella produzione di contenuti immaginari è perché i suoi dati di realtà superavano l'esperienza comune e sfociavano continuamente nella dimensione dello straordinario. Spesso gli aneddoti, così come le metafore, rispecchiano il tentativo di dar forma a qualcosa che non appare immediatamente comprensibile. Così è nel caso di Mozart, il cui talento senza eguali non solo affascina, ma mette in imbarazzo, spinge a rifugiarsi nella narrazione, come se per venire a patti con la sua eccezionalità fosse necessario metterlo a fianco di personaggi immaginari, come Don Chisciotte o Wilhelm Meister. Uno storico acuto, come Harold C. Robbins Landon, non può impedirsi, allora, di enfatizzare una citazione di Haydn al termine di uno studio fino a quel punto molto misurato e documentato: un genio così, aveva detto Haydn dopo la morte di Mozart, non si vedrà al mondo per altri cent'anni; ne sono passati duecento, aggiunge Robbins Landon, e ancora non l'abbiamo visto. E allo stesso modo un filosofo della scienza influente come Herbert Simon, in un libro nel quale nega la sostenibilità di nozioni come quelle delle "idee innate" o del "talento innato", finisce per scontrarsi con il caso-Mozart e arriva al paradosso di sostenere che, malgrado lo stupore dei contemporanei per le sue composizioni adolescenziali, anche lui aveva avuto bisogno di passare per un periodo sufficientemente lungo di apprendistato e formazione, tanto che nulla di quanto aveva scritto prima dei venticinque anni poteva davvero considerarsi "di livello mondiale". Di parere del tutto opposto Glenn Gould, che con il suo solito spirito di provocazione ha affermato che, contrariamente all'opinione di tutti, Mozart non è morto "troppo presto", ma "troppo tardi", essendo la scabra genialità dei suoi primi lavori incomparabile con quella degli ultimi, evidentemente afflitti dal bisogno sociale del compromesso.
Come si vede, si continua a narrare e a fantasticare su Mozart anche fuori dal cinema, sia pure con un linguaggio diverso e a volte con scopi diversi. L'unico modo per uscire da questa impasse, verrebbe da dire, sarebbe quello di rivolgersi alla sua musica, dunque di ascoltarla direttamente, senza mediazioni. Ma è un consiglio dal quale non deriva nessuna demistificazione della leggenda mozartiana poiché, al contrario, è proprio la musica a rappresentare quell'eccezione da cui proviene la necessità di raccontare.
Un mese di ascolto in diversi luoghi, con programmi che vanno dalle prime alle ultime composizioni di Mozart, è da questo punto di vista una prova sufficiente, uno stimolo della fantasia che non richiede ulteriori attestati. Perché le pagine del Requiem, così rispettose della dimensione sacra eppure così dirette al cuore di una riflessione laica sulla finitezza dell'esistenza, non sono più sorprendenti ed eccezionali della Sinfonia K. 16, la prima del suo catalogo, scritta con incredibile sicurezza all'età di otto anni, con un linguaggio convenzionale, certo, ma carico di energia e accattivante come nessun altro. Perché sorprendente in Mozart, sempre, è l'abbondanza di idee, il rigoglio di temi che si moltiplicano e che sarebbero bastati, ad altri, per almeno altre cinque composizioni, come nel caso del Concerto per pianoforte in mi bemolle maggiore K. 449, del 1784 (un concerto, sia detto fra parentesi, che forse Glenn Gould avrebbe salvato, benché composto a ventotto anni, in forza della sua fitta scrittura contrappuntistica).
E perché non meno sorprendente è un'opera come Così fan tutte, l'ultima della trilogia realizzata con Lorenzo Da Ponte: un'opera tanto ingenua e fiabesca nei toni quanto astratta e geometrica nella concezione, con i protagonisti divisi in coppie di due voci che si combinano in formazioni diverse, ma sempre rispettando un canone di perfezione, di equilibrio e di trasparenza musicale che rende emotivamente, sentimentalmente credibili anche le scene più inverosimili dal punto di vista della situazione drammaturgica.
Come nei racconti che duplicano la dimensione narrativa e che inseriscono il teatro nel teatro, il cinema nel cinema, o più semplicemente la finzione nella finzione, così anche nel caso di Mozart sembra che un modo per arrivare più vicini al nocciolo della sua verità artistica sia quello di aggiungere fantastico al fantastico, come avviene nel caso dell'incontro di Mozart con un'altra leggenda, stavolta integralmente letteraria e teatrale: quella di Don Giovanni. Il rilancio immaginativo della famiglia Cuticchio, che porta Don Giovanni fra le storie tradizionali dei pupi, è un omaggio particolarmente sensibile alla natura di Mozart, così divisa fra realtà storica e fiaba.
Stefano Catucci (da www.sistemamusica.it)