Magic Sam
Magic Sam, uno dei nomi di punta della chitarra blues nella Chicago degli anni cinquanta e sessanta, pur avendo esercitato una importante influenza su molti chitarristi affermatisi nei decenni successivi, sta ingiustamente passando un po' nel dimenticatoio, anche a causa della brevità della sua carriera, interrotta bruscamente a dicembre del 1969, per l'improvvisa morte dovuta ad un attacco di cuore malandrino.
Questa tendenza a dimenticarsi di Samuel Maghett, vero nome di Magic Sam, non é comunque giustificabile e vale la pena mettere un po' di ordine fra la poche proposte discografiche attualmente disponibili.
Nato il 14 febbraio 1937 a Grenada, nel cuore dello stato del Mississippi, il giovanissimo Sam Maghett si trasferì a Chicago nel 1950 e riuscì lentamente a farsi strada negli innumerevoli club che caratterizzavano e caratterizzano tuttora la città. Influenze importanti furono il vicino di casa Syl Johnson e l'armonicista Shakey Jake, da molti citato come lo zio del chitarrista anche se questa parentela non è mai stata acclarata ufficialmente.
All'inizio il chitarrista si faceva chiamare Good Rockin' Sam, ma, dietro suggerimento del bassista Mack Thompson, fratello di Syl Johnson, decise di cambiare il proprio nome d'arte in Magic Sam, più o meno all'epoca delle sue prime registrazioni per la Cobra di Eli Toscano, avvenute nel 1957. Subito venne raggiunto un buon successo con il brano "All Your Love", caratterizzato da una linea melodica particolarmente profumata che in qualche modo continueremo a ritrovare durante tutta la sua breve carriera, camuffata e leggermente modificata in altri celebri brani come "Easy Baby" e "Everything Gonna Be Allright".
Più o meno nello stesso periodo un altro giovane chitarrista, Otis Rush, stava percorrendo un tragitto simile, ponendo le basi per una importante evoluzione nel blues elettrico, caratterizzata da un approccio ritmico meno duro e da una vocalizzazione più accentuata delle frasi solistiche della chitarra, spesso utilizzata con l'aggiunta del tremolo nella componente amplificata.
Assieme a Buddy Guy, portatore di uno stile ritmicamente e melodicamente più duro e ritmato, spesso caratterizzato da funambolismi scoppiettanti, i due chitarristi della Cobra riuscirono a dare una forte spinta in avanti alla transizione che stava avvenendo e che muoveva dal blues elettrico sviluppatosi nell'immediato dopoguerra al blues moderno che tuttora forma una delle spine dorsali della musica afro-americana.
La compagnia discografica di Toscano fallì miseramente e Magic Sam decise di affidarsi alla Chief di Mel London, una scelta non particolarmente felice, dal punto di vista del business, che oltretutto concise con un periodo piuttosto complicato della vita del chitarrista uscito ingloriosamente dal periodo di leva con l'accusa di diserzione.
L'unico brano col quale il nostro virtuoso delle sei corde riuscì a farsi notare nei primissimi anni sessanta fu una versione vivace del brano di Fats Domino "Every Night About This Time". Malgrado la scarsa attività in studio di registrazione, Magic Sam continuava incessantemente a suonare nei piccoli club e nei blues bar di Chicago. Una ottima testimonianza di tutto questo la troviamo nell'album postumo Live della Delmark che nella prima parte contiene registrazioni realizzate all'Alex Club di Chicago nell'ottobre del 1963 e nel febbraio dell'anno successivo. La qualità audio non è straordinaria, ma il blues che ascoltiamo è una musica che chiaramente proviene da un artista moderno e innovativo che sta cercando di portare avanti in un modo originale e appassionato la tradizionale forma musicale dei neri americani.
Dopo successivi alti e bassi che lo vedono comunque impegnato anche al Fillmore e all'Avalon Ballroom di San Francisco e alla Royal Albert Hall di Londra, Magic Sam approda finalmente alla etichetta Delmark, e incide i due album in studio che sono certamente i suoi capolavori.
Si parte nel 1967 con West Side Soul, uno degli album che meglio rappresenta il blues elettrico degli anni sessanta. Undici brani eccellenti che lasciano un segno profondo anche nei primi chitarristi bianchi che sia negli States che in Inghilterra stanno cercando di esprimere le tensioni e la voglia di rompere le barriere del perbenismo usando la musica come grimaldello.
L'album contiene un rifacimento di "All Your Love" qui citata più correttamente con il titolo "All of Your Love", anche per non confonderla con la "All Your Love" di Otis Rush che negli stessi anni Eric Clapton aveva portato al successo alla corte di John Mayall nel celeberrimo album Bluesbreakers.
L'album vede Magic Sam alla testa di un quintetto che comprende il chitarrista ritmico Mighty Joe Young, il pianista Stockholm Slim, il fido bassista Mack Thompson (che si alterna con Earnest Johnson)e il batterista Odie Payne, III.
Oltre al brano già citato segnaliamo la strumentale "Lookin' Good", l'iniziale "That's All I Need", "I Don't Want No Woman" (che nella riedizione in CD è proposta anche in una versione alternativa) e la spiritata "I Feel So Good (I Wanna Boogie)". Una bella e personale versione di "Sweet Home Chicago" dimostra perfettamente come il chitarrista fosse in grado di plasmare in modo davvero originale un brano tradizionale, eseguito da migliaia di altri chitarristi.
L'anno successivo il chitarrista porta in studio la stessa band con l'aggiunta del saxofonista Eddie Shaw e con il pianista Lafayette Leake al posto di Stockholm Slim, mantenendo Mack Thompson al basso. L'album esce col titolo Black Magic ed è un altro clamoroso successo in un'epoca ormai dominata dai nuovi chitarristi emergenti nel mondo del rock, fra i quali spicca il grandissimo Jimi Hendrix, decisamente più vicino a Buddy Guy che non a Magic Sam.
In questo album abbiamo altri dieci brani di eccellente fattura e in questo caso spiccano "Easy, Baby", "It's All Your Fault" che sembra fare un po' il verso a B.B. King e una versione molto interessante di "San-Ho-Zay" di Freddy King.
Sembra che ormai la strada del successo sia completamente spianata: arrivano ingaggi nei Festival più prestigiosi, si programmano tour europei, la Stax si propone come casa discografica per un grande lancio, non appena il contratto con la Delmark sarà completato. Ma il destino crudele non prevede che tutto ciò si avveri. Il primo giorno del mese di dicembre del 1969 Sam Maghett, alla giovane età di 32 anni, muore improvvisamente per un attacco di cuore, che comunque era stato in qualche modo preannunciato dalla salute non particolarmente florida che aveva caratterizzato gli ultimi anni della breve vita di Magic Sam.
Nel 1981 la Delmark acquisì da un paio di grandi appassionati e immise sul mercato, in un doppio album intitolato Live (ora disponibile in un unico CD che riporta integralmente tutto il doppio vinile), le registrazione provenienti dall'Alex Club (di cui abbiamo già dato cenno) e quelle del Festival di Ann Arbor dell'agosto 1969, l'ultimo grande concerto di Magic Sam e, a giudizio di tutti gli appassionati, una delle migliori prove lasciate dal chitarrista di Grenada. Anche qui le registrazioni non sono di qualità audio eccelsa, ma riescono a rendere benissimo la grande maturità raggiunta dal chitarrista.
Malgrado l'importanza di questo Festival, che allora era un vero avvenimento nella emergente scena musicale giovanile, Magic Sam sembrò snobbare un poco l'occasione e arrivò all'ultimissimo minuto, con gli organizzatori già in paranoia per l'immotivato e non annunciato ritardo. E per di più si presentò accompagnato solo dal bassista Bruce Barlow, senza alcuna traccia del previsto batterista. Un veloce giro nel backstage permise a Magic Sam di individuare in Sam Lay (già con Muddy Waters e con Paul Butterfield) un degno compare da proporre alla batteria e l'improvvisato trio salì sul palco per un set che esaltò il numerosissimo pubblico presente. Vennero riproposti brani provenienti dai due album in studio degli anni immediatamente precedenti e il formato del trio accentuò ulteriormente la sensazione che la eccellente padronanza strumentale del chitarrista e la sua splendida voce fossero elementi importanti destinati a fare da fondamenta per una carriera di grande spessore. Come si diceva il destino non era d'accordo e questa esibizione rimase come ultima perla di una collana incompiuta.
Negli anni novanta la Delmark ha proposto altri due ottimi album che completano la breve discografia di questo musicista.
Dapprima è stato proposto Give Me Time, un bellissimo ritratto domestico di Sam Maghett, registrato nella sua cantina, da solo, alle prese con la chitarra elettrica e con i rumori della lavatrice e dei bambini che giocano e chiacchierano in lontananza. Una sorta di anello mancante molto intimo fra il blues dal quale il nostro eroe aveva preso ispirazione e gli eccellenti risultati molto personali che stava ottenendo negli album in studio e nelle esibizioni dal vivo.
Le registrazioni sono del gennaio 1968 e in un brano si aggiunge Eddie Boyd alla voce. Vengono proposti brani dello stesso chitarrista ma anche "I Can't Quit You Baby" dell'amico-rivale Otis Rush, "Sweet Little Angel" di B.B. King e "I'm So Glad" di Skip James, brano che i Cream stavano portando al successo nello stesso periodo.
Poi più recentemente è arrivato The Magic Sam Legacy che mette assieme registrazioni inedite effettuate durante le sedute per West Side Soul e per Black Magic, con l'aggiunta di alcuni brani provenienti invece da sedute precedenti di un paio d'anni. Sono tredici brani che ci aiutano ad avere una visione ancora più ampia di quella che fu la grande arte di Magic Sam e ci invogliano a riscoprire anche tutte le altre registrazioni che finalmente sono disponibili.
Come si diceva all'inizio, un musicista di grande importanza per il blues moderno, un musicista dotato di ottimi mezzi tecnici messi al servizio di una notevole urgenza espressiva, una vera fonte di ispirazione per tutti i chitarristi blues successivi, specialmente quelli più interessati ad esplorare anche la variante più 'dolce' e rilassata, da Peter Green a Mick Taylor, da Ronnie Earl a Robert Cray. Quest'ultimo, nella sua fase iniziale in particolare, era chiaramente influenzato dal chitarrista di Grenada che portò una ventata di dolce ma elettrico profumo del sud nella fredda città aggrappata alle rive del lago Michigan.
Maurizio Comandini (da www.allaboutjazz.com/italy)