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L’opera nell’epoca del cinema: La fanciulla del West

 

Il cinema si sostituisce all'opera come intrattenimento popolare per eccellenza nei due primi decenni del secolo da poco concluso e Puccini, sempre avvertito rispetto alle novità, in un certo senso si pone come tramite autorevole tra le due epoche, nella fase più intensamente sperimentale del suo percorso creativo. La fanciulla del West è infatti il primo approccio operistico importante alla chanson des gestes western, cui il grande lucchese attingeva per un'occasione significativa, legata a un'importante commissione del Metropolitan di New York, che sanciva così il nuovo ruolo del Teatro gestito dal binomio Gatti Casazza-Toscanini. Alla base della realizzazione c'era la fortunatissima pièce di David Belasco, dominatore della scena di prosa statunitense, nelle vesti di drammaturgo e regista, che in The Girl of the Golden West aveva realizzato un veicolo perfetto per la sua musa ispiratrice, Blanche Bates. Puccini venne attratto quindi dalla possibilità di «una seconda Bohème, ma più forte, più ardita e più ampia», secondo quanto scriveva a Ricordi e in essa, dopo gli innumerevoli tentativi che lo avevano portato vicino a varie realizzazioni, tra cui una Maria Antonietta (L'austriaca), due possibili collaborazioni con D'Annunzio (Parisina e La rosa di Cipro) e l'adattamento de La femme et le pantin di Pierre Louÿs, tra i principali motivi di attrazione vi fu la solidità della trama concepita dal "vescovo di Broadway" (cosiddetto per l'immutabile abbigliamento severo, tra gli ingredienti della sua longeva popolarità nell'immaginario Usa, testimoniata dal film The Lady with Red Hair di Curtis Bernhardt del 1940) che presenta un'eroina trepida quanto risoluta, al centro di un triangolo d'amore e ricatto, che si staglia sullo sfondo di una folla co-protagonista.
Fin dalla prima ricezione, e per lungo tempo, la musica ha in genere suscitato maggior interesse, e da subito si evidenziò un dialogo con Wagner (vi è un tema di redenzione, affine a motivi di Parsifal, lavoro carissimo a Puccini), come anche con Debussy, rimarcando il "rinnovamento" del linguaggio del musicista, inficiato però da una trama invecchiata. Eppure il disegno drammaturgico pucciniano è chiarissimo e ben presente nel libretto di Civinini e Zangarini: il progetto è quello di «far grande», perché «ho l'idea di uno scenario grandioso, una spianata nella grande foresta californiana cogli alberi colossali», proprio come in un aggiornato Grand Opéra che strizza l'occhio alla settima musa, che nel frattempo ha, giocoforza, già cominciato ad attingere alla mitologia della frontiera. Belasco curò la messinscena della prima, riferendosi al suo precedente allestimento della pièce, basato su un realismo filologico quasi ossessivo e scontrandosi ovviamente con la diversa gestualità dei cantanti. Il Novecento è stato il secolo del cinema e il western ha avuto un peso notevole e non sarà un caso che la tradizione scenica della Fanciulla, fino al fortunato allestimento di Giancarlo Del Monaco riproposto ora a Torino, abbia sovente mutuato un riferimento, esplicito e volontario o meno, allo schermo. Per questo, ad esempio, Eleanor Steber sembrava una sorridente Calamity Jane nella riproposta "critica" postbellica, a Firenze nel 1954 (per la direzione di Dimitri Mitropoulos e con le bozzettistiche scene e costumi di Ardengo Soffici) e Franco Corelli nell'edizione scaligera del 1955 (scene e costumi Nicola Benois) aveva addosso una vistosa camicia a scacchi simile a quella di Montgomery Clift ne Il fiume rosso. Colpisce il fatto che questo lavoro, così "visivo", non abbia incontrato invece l'interesse dei cineasti, che pure hanno attinto immediatamente al repertorio pucciniano. Infatti, se la pièce venne adattata con successo al grande schermo da Cecil B. De Mille (che faceva riferimento comunque anche all'opera) nel 1915, i titoli privilegiati sono stati altri: Bohème (L'Herbier, 1943 e Zeffirelli, 1963), Madama Butterfly (Gallone, 1954 e Mitterand, 1998), ma soprattutto Tosca, di cui esistono molte versioni, fuori e dentro dai suoi "luoghi". Per La fanciulla il discorso sarà invece in ambito video, a rimarcare una peculiarità espressiva, riproposta tra l'altro con finezza dalla giallista Barbara Paul nel grazioso romanzo A Cadenza for Caruso (1984), in cui il tenore deve improvvisarsi come improbabile detective per un ricatto che minaccia Puccini, mentre Belasco dalla platea tesse le fila di una nuova visione della regia operistica, che è ancora di là da venire.

 

Luca Scarlini (da www.sistemamusica.it)