Lichtenberg e la fondazione dell’aforisma tedesco
Georg Christoph Lichtenberg nacque a Oberramstadt nel 1742, diciassettesimo figlio del pastore protestante J. Conrad, uomo versatile e di molti interessi: letterari, musicali e scientifici. Trascorsa l'infanzia e la prima giovinezza a Darmstadt, dove frequentò il Pädagogium, seguì all'università Georgia Augusta di Göttingen i corsi della facoltà di matematica e scienze naturali. Conclusi gli studi nel 1767, ottenne la cattedra di matematica e lingua inglese presso l'università di Giessen. L'appoggio del re Giorgio III, conosciuto a Londra nel 1770, gli valse nello stesso anno la nomina a professore presso l'università di Göttingen, città dove rimase, salvo un secondo soggiorno in Inghilterra tra il 1774 e il 1777, fino al 1799, anno della morte. Celebre scienziato (i suoi studi sull'elettricità incontrarono l'entusiasmo e l'ammirazione di Alessandro Volta, che gli dedicò le Lettere sulla meteorologia elettrica), stimato in ambito universitario per le sue doti didattiche, si dedicò anche alla divulgazione scientifica, fondando riviste come il «Göttinger Taschen Calender» (1776) e il «Göttingisches Magazin der Wissenschaften und Litteratur» (1780).
Come ha contribuito a dimostrare Ulrich Joos, Lichtenberg ha avuto un ruolo molto importante per l'aforistica, non soltanto europea. Ciò nonostante egli è stato scoperto relativamente tardi dalla critica. Il titolo dell'intervento tenuto da Wolfgang Promies in Das 1. Lichtenberg-Gespräch in Ober–Ramstadt 1972, Lichtenberg-ein unterschlagener Klassiker, è indicativo della scarsità di contributi critici e della marginale posizione assegnata allo scrittore tedesco fino ad allora nelle storie letterarie.
Nel nostro paese la fortuna critica di Lichtenberg non è stata esilissima. Già negli anni '60 Ladislao Mittner gli dedicava alcune pagine della sua Storia della letteratura tedesca, definendolo «uno degli spiriti più liberi e profondi dell'epoca». Certo, sulla fortuna italiana di Lichtenberg ha senz'altro inciso il successo, soprattutto recente, dell'aforistica tedesca (Goethe, Schopenhauer, Nietzsche, Canetti, Kraus) nonché la lettura del Motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio di Freud.
È infatti nella memoria e nelle opere degli scrittori che la fortuna di Lichtenberg si può misurare appieno: Friedrich Nietzsche collocava gli Aphorismen tra le cinque opere in prosa della letteratura tedesca che meritassero «di essere lette sempre di nuovo»; Elias Canetti gli dedicava uno splendido ritratto.
Nessuno tra gli scrittori che si riconoscono suoi 'eredi' mette in dubbio che Lichtenberg sia autore di aforismi. Non così la pensano gli studiosi.
«Georg Christoph Lichtenberg, questo originale e acutissimo scrittore del Settecento, venuto ora di moda in Germania ma da noi ancora pressoché sconosciuto, rischia ormai di diventare per sempre un aforista involontario […]. Come è nata questa curiosa caratteristica? È nata semplicemente dal fatto che A. Leitzmann, uno dei padri dell'odierna filologia tedesca, dette di sua iniziativa il titolo di Aforismi alla raccolta di osservazioni, massime, sentenze varie, ma anche appunti, frammenti, excerpta di vario genere, annotazioni diaristiche e illuminazioni poetiche di cui egli stesso forniva una eccellente edizione critica». Queste le parole con le quali Nello Sàito apriva l'introduzione alla sua antologia G. C. Lichtenberg, Osservazioni e pensieri, tanto importante per la conoscenza dello scrittore tedesco in Italia. Lichtenberg parla solo in due casi di Aphorismen e mai in relazione alla sua opera. La definizione che usa per i suoi scritti è Einfälle («le idee che vengono non si sa da dove», avrebbe detto Valéry).
Nell'introduzione alla più recente antologia di scritti del Lichtenberg uscita in Italia Anacleto Verrecchia oppone il tedesco a La Rochefoucauld: «Certo, le sue massime non hanno né la levigatezza né la tornitura di quelle di La Rochefoucauld. Sono scritte di getto, vorrei quasi dire lampeggiate, ma è proprio questo che ne costituisce il pregio. Ciò che perdono in levigatezza acquistano in immediatezza. I dardi di La Rochefoucauld sono cesellati e stemperati nella politesse; quelli di Lichtenberg sono appuntiti a martellate e intinti nel veleno. Il primo parla ai salotti, il secondo al genere umano […]». In realtà il rapporto tra maxime classica e creazioni moderne deve definirsi come differenza, sia pur sostanziale, non come opposizione. Diceva Elias Canetti: «Leggendo i grandi autori di aforismi, si ha l'impressione che si conoscessero tutti bene fra loro».
La differenza più immediata tra la tradizione classica dell'aforisma e quella moderna, che ha come termini a quo Lichtenberg e Joubert, sta nell'uso degli excerpta. In Lichtenberg, come nei moderni - dei quali è in questo senso un grande modello -, ha grande spazio il gioco tra ciò che è proprio e ciò che viene fatto proprio. Il rapporto con il testo citato risulta ricco, fluido. Le citazioni, più o meno letterali, sono seguite da commento, spesso per modo associativo. E questo anche in un Heft (taccuino, quaderno) come Keras Amaltheias, che avrebbe dovuto includere soltanto excerpta.
L'estremo interesse di Lichtenberg per la citazione nasce dalla sua vasta cultura classica (della quale era frutto anche la sua notevole sapienza retorica, come notato da Albert Schneider). Egli era però anche assiduo frequentatore dei moderni autori inglesi, francesi ed italiani, che leggeva in lingua originale. Per questo tradurre i suoi Einfälle è tanto complesso: si deve avere familiarità con la tradizione vastissima che sta alle loro spalle per saper ritrovare gli echi, capire le allusioni. Quella di Lichtenberg è una cultura che sembra semplicissima («erudizione leggera come la luce» la definiva, giocando sul nome dell'autore, Canetti) ed è invece polisemica al massimo grado.Nei suoi quaderni Lichtenberg raccoglie gli Einfälle. Li tesaurizza. In questo senso va letto il celebre Einfall E 46, tutto giocato sulla metafora commerciale, comunemente considerato la sua dichiarazione poetologica fondamentale: «I commercianti hanno il loro waste book (scartafaccio o quaderno di scarabocchi, in tedesco) in cui segnano giorno per giorno gli acquisti e le vendite, e tutto senza ordine, alla rinfusa; da questo riportano ogni cosa nel 'giornale' in maniera più sistematica e di qui facilmente nel Leidger at double entrance (libro mastro), secondo l'uso italiano di registrare il dare e l'avere. Nel libro mastro è segnata la partita di ciascuno e questi vi appare prima come debitore che come creditore. Ciò merita di essere imitato dagli studiosi. Dapprima un quaderno nel quale io possa segnare le cose come le vedo o come me le fanno vedere i miei pensieri; di qui gli appunti possono essere riportati in un altro in cui siano già meglio ordinati e suddivisi, e infine il libro mastro potrebbe contenere in bella forma i riferimenti e le spiegazioni che ne derivano».Non bisogna, naturalmente, prendere alla lettera il termine 'scarabocchi'. La grafia dell'autografo dei Sudelbücher è spesso regolare, chiara. La natura di Einfälle dei suoi 'aforismi' non impediva infatti a Lichtenberg di scrivere: «Dovrebbe esserci un tipo di persone, che non appena abbia messo per iscritto un pensiero, subito trovi la forma migliore. Ho difficoltà a crederlo. C'è sempre da domandarsi se l'espressione non sarebbe potuta risultare migliore dopo aver soppesato ulteriormente il pensiero, oppure se non sarebbe stato possibile trovare una formulazione più breve, o ancora se non si sarebbero potute lasciare da parte molte parole che da principio si ritenevano necessarie, ma che in realtà costituivano una spiegazione superflua, per lo meno per un lettore intendente. Scrivere di primo acchito, come Tacito, non è nella natura umana. Per esprimere bene un pensiero occorre lavare via, purificare» (J 283).
Monica Bianco