Led Zeppelin, quattro rocker in dirigibile
Il dirigibile dei Led Zeppelin è tornato a volare nei cieli del rock. E' uscita di recente, infatti, la doppia antologia Early days e Latter days, che raccoglie i successi della leggendaria band britannica. "Volevamo farci conoscere da una nuova generazione - racconta il chitarrista, Jimmy Page -. Ho sempre pensato che la nostra musica potesse durare a lungo, quello che non immaginavo è che io potessi vivere tanto. A 18 anni pensavo che sarei morto a 30, oggi ne ho 54 e mi sembra incredibile aver superato anche i 50".
Rivoluzione a 33 giri.
Non c'è solo l'immortalità delle canzoni dietro il mito dei Led Zeppelin. Page, Plant e soci possono vantare una serie di piccole rivoluzioni che hanno cambiato la storia della musica. La loro mistura esplosiva di blues, hard rock e psichedelia aggiornò le intuizioni dei Cream e stravolse i canoni del rock'n'roll all'alba degli anni '70. Furono anche i primi a raggiungere un successo di massa senza dipendere dalla programmazione radiofonica. Fino ad allora, radio e televisione erano state dominate dalle hit parade, e quindi dal 45 giri. I Led Zeppelin sfondarono senza mai entrare in quelle classifiche. Nemmeno il loro più grande hit, "Stairway to heaven", divenne mai un singolo. E anche la laconicità con cui intitolarono i primi album (alcuni privi persino del loro nome in copertina) segnò una rottura con la tradizione, che voleva i titoli dei dischi funzionali al marketing della band.
Più ancora degli hit, ad attrarre moltitudini di fan furono le loro esibizioni dal vivo. Esibizioni che, sull'onda emotiva di Woodstock, riportavano il rock alla sue dimensione più selvaggia e genuina. I concerti dei Led Zeppelin erano pervasi da un'energia feroce, da una fantasia allucinata, da un furore quasi mistico. Erano baccanali assordanti e melodie folk, deliqui blues e sciabolate elettriche: un'orgia sonora dominata dai virtuosismi iper-veloci di Jimmy Page e dal canto stridulo e possente di Robert Plant. Il film "The song remains the same" ne resterà la testimonianza più celebre.
Per il pubblico italiano ci fu una sola occasione per vederli: il 3 luglio 1971, al Palavigorelli di Milano. E si sfiorò la tragedia. Prima, la violenta contestazione a fischi e lattine verso i "canzonettari" del Cantagiro, che aprivano la serata. Poi, durante l'esibizione dei Led Zeppelin, il putiferio: Robert Plant non fa in tempo a completare il primo brano, che la musica si ferma, la polizia spara candelotti lacrimogeni, si alza il fumo. Alla terza canzone, altri lacrimogeni e una carica della polizia, con la gente che, in preda al panico, invade il palco. "Quella sera credemmo di morire - ricorderà Plant -. Fummo costretti ad abbattere una porta per rifugiarci nei camerini. Quando cercammo di recuperare gli strumenti, scoprimmo che era stato tutto distrutto". Curioso, invece, l'episodio di Copenaghen, 21 febbraio 1970: i Led Zeppelin sono costretti a esibirsi come The Nobs per la minaccia di azione legale da parte degli eredi del conte Von Zeppelin, inventore del dirigibile simbolo del gruppo.
Trionfi e tragedie.
"Capelloni" per antonomasia (a causa delle folte chiome venne loro negato il visto d'ingresso in Cina), i Led Zeppelin sono figli del '68. È in quell'anno che Jimmy Page, reduce dagli Yardbirds e da un apprendistato nel "beat" (Who, Kinks), conosce il cantante Robert Plant. Ingaggiati il bassista-tastierista John Paul Jones e il batterista John "Bonzo" Bonham, la band esordisce con Led Zeppelin I, nel segno di un poderoso blues psichedelico. Ed è subito il trionfo, con brani come "Dazed and confused", "Babe I'm gonna leave you" e "Communication breakdown". Un trionfo bissato da II, tra l'energia hard-rock di "Whole lotta love" (da un tema di Willie Dixon) e l'assolo di batteria di "Moby Dick" (forse il più celebre della storia del rock). Il disco che venderà di più, però, è IV, pervaso da uno spirito folk e mistico, con la memorabile "Stairway to heaven". Ma anche Houses of the holy, con la struggente "The rain song", e il doppio live Physical graffiti riuscirono a tenere in quota il dirigibile-Led Zeppelin. Poi, salvo qualche eccezione, l'appannamento, segnato anche da due tragedie: l'improvviso decesso per infezione virale del figlio di Plant e la morte del batterista John Bonham, per soffocamento, dopo una serata di abusi alcolici. Il 4 dicembre 1980, il comunicato-epitaffio della band: "La perdita del nostro amico e il rispetto per la sua famiglia ci hanno portato a decidere che non potremo continuare come prima". Da allora, salvo sporadiche esibizioni dal vivo (tra cui Live Aid), i superstiti hanno seguito strade separate. Più deludente quella di Page (con i Firm), più dignitosa quella di Plant.
Celti, maghi e figli dei fiori.
Nel repertorio dei Led Zeppelin non c'è solo il blues e l'hard rock, ma anche il folk celtico e i miti medievali, uniti a una passione particolare per l'occulto. Una passione che spinse Page ad andare a vivere nella "casa maledetta" del mago Aleister Crowley vicino al lago Loch Ness, in Scozia. E fu proprio l'aura di magia nera che circondò la band a scatenare le prime polemiche sul rock satanista. Polemiche ancora attuali. Nei giorni scorsi Page ha vinto una causa contro la rivista "Ministry magazine" che lo accusava di aver assistito inerte alla morte di Bonham, indossando una tunica "satanista" e tentando perfino un incantesimo. Robert Plant, invece, è stato a volte criticato per aver scritto testi da figlio dei fiori demodé: "Come può mai essere "datato" un figlio dei fiori? - replicò -. L'essenza di ciò che scrivo è il desiderio di pace, di armonia. È tutto quello che ogni persona ha sempre voluto. Come può diventare un argomento fuori moda?".
Oggi i figli dei fiori sono quasi una razza estinta, ma i figli dei Led Zeppelin non si contano più. Gli ultimi sono quelli di Seattle, della generazione grunge dei Nirvana e dei Pearl Jam, che hanno aggiornato il loro hard rock con un punk iconoclasta e disperato. Ma ai Led Zeppelin non servono eredi. Hanno già venduto 150 milioni di dischi. E sono ancora venerati da folle di vecchi e giovani fan. Un elisir di eterna giovinezza musicale: è questa la loro "scala per il paradiso".
Claudio Fabretti