Lear, il folle Contemporaneo
C'era una volta un re di Britannia, Lear, che aveva tre figlie: Goneril, moglie del duca di Albany, Regan, consorte del duca di Cornovaglia, e Cordelia, la più giovane, ancora nubile.
A ottant'anni suonati il vegliardo decide di spartire il suo regno tra le discendenti: mentre le prime, ruffiane e adulanti, gli esprimono immenso amore, Cordelia ammette di amarlo come una figlia ama un padre, né più né meno. Lear va in collera per quello che ritiene un peccato d'orgoglio, la esclude dall'eredità e la bandisce.
Cordelia va in sposa al re di Francia e lo segue oltremanica. Presto le due sorelle maggiori si coalizzano contro il padre, lo esautorano e lo cacciano. Regan, rimasta vedova, s'innamora del malvagio Edmondo, usurpatore della contea di Gloucester, e lo nomina capo del suo esercito, che sconfigge i francesi sbarcati a Dover. Cordelia, nel frattempo raggiunta dal padre, viene fatta prigioniera da Edmondo, che la fa strangolare. Goneril, che condivide la passione della sorella per il bastardo Edmondo, avvelena la sorella Regan; quindi, una volta scoperta dal marito, si suicida. Il vecchio Lear, ormai folle, non sopravvive al dolore.
Shakespeare, ispirandosi a un'antica leggenda ben nota al suo pubblico, scrive quella che Gabriele Baldini ritiene "la più vasta, più ricca, più misteriosa, più altamente poetica, più profondamente tragica, più complessa e difficile" delle sue opere tra il 1605 e il 1606. E sono molti i compositori che, a partire dal Settecento, vi traggono ispirazione per la loro musica: da Haydn a Verdi, che non concretizza il suo progetto operistico, da Berlioz a Balakirev, da Dukas a Debussy, da Shostakovic a Khachaturjan fino ad Aribert Reimann.
È il 1968 quando il baritono Dietrich Fischer-Dieskau suggerisce all'amico Reimann (nato a Berlino il 4 marzo 1936), che spesso lo accompagna al pianoforte nel repertorio liederistico, di fare di King Lear un'opera.
Reimann, che ha già scritto un paio di lavori teatrali (nel 1957 il balletto Stoffreste e nel 1965 Ein Traumspiel), non sembra convinto e continua a lavorare alla sua Melusine che va in scena nel 1972.
Quando tre anni più tardi la Bayerische Staatsoper di Monaco gli commissiona una nuova opera si accorge che nel corso di un processo lento e inconscio nella sua mente molte scene della tragedia shakespeariana si sono trasformate in musica. Dopo tre anni di lavoro, nell'ottobre del 1978, Lear, su libretto di Claus H. Henneberg, va in scena al Teatro Nazionale di Monaco con la regia di Jean-Pierre Ponnelle, la direzione di Gerd Albrecht e Fischer-Dieskau nella parte del protagonista.
Per la produzione londinese della English National Opera Desmond Clayton prepara la versione in lingua inglese (la stessa proposta al Regio) recuperando parecchi dei versi di Shakespeare. Dopo il successo di Lear, la carriera teatrale di Reimann procede con Die Gespenstersonate (1984), che segna anche il suo debutto in Italia avvenuto al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1987, con Le troadi (1986), con Das Schlos (1992) e più recentemente con Bernarda Albas Haus (2000).
Lear, in due parti, è costituita da undici scene, collegate da intermezzi strumentali. La partitura del direttore d'orchestra, che quando è aperta raggiunge la superficie di un metro quadrato, basta appena a contenere tutte le note: in certi casi gli archi sono divisi in 48 parti reali, ossia ciascuno di loro suona una nota diversa dai consimili, polverizzando il concetto di fila. Questo fa sì che talvolta il sistema di pentagrammi ne includa addirittura 57 in una sola pagina. I quattordici cantanti solisti e il coro di voci maschili sono accompagnati da un organico strumentale costituito da 82 elementi, cui è richiesto di alternare fragori dirompenti con sonorità al limite dell'udibile, fanfare epilettiche degli ottoni con tremoli e armonici flautati quasi impercettibili degli archi, cluster violenti con tappeti sonori intessuti da microintervalli.
Tra le "stranezze" timbriche spiccano il variegato apparato di percussioni e la presenza del flauto contralto accanto ai tre flauti in do chiamati a suonare anche tre ottavini e tre flauti bassi. Lo stile vocale è molto vario e ai cantanti è richiesta una duttilità incredibile per eseguire quarti di tono, glissando, intervalli molto ampli, Sprechgesang, frasi melismatiche, singhiozzi (nella parte di Lear) che ricordano l'hoquetus medievale.
Per la sua Literaturoper Reimann guarda agli esponenti della Seconda Scuola di Vienna e impiega un linguaggio dichiaratamente dodecafonico. Lear rappresenta infatti l'evoluzione estrema di un discorso che affonda le proprie radici nella prima metà del XX secolo e che pare essersi definitivamente esaurito. E costituisce uno dei frutti più significativi e compiuti di un movimento, l'avanguardia, e di una cultura, quella tedesca, che da alcuni decenni non sono più in grado di dettare le linee di sviluppo del teatro musicale contemporaneo. A dimostrazione di come anche in un ambito della cultura che spesso viene ritenuto conservatore e poco dinamico - quello della musica colta - avvengono trasformazioni magari non eclatanti ma continue che storicizzano in un amen opere che sembrano incarnare il concetto di contemporaneità.
Filippo Fonsatti (da www.sistemamusica.it)