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La splendida eccezione

 

I concerti per violoncello e orchestra attribuibili con sicurezza a Joseph Haydn sono due (Hob.VII nn. 1/2): un terzo, in do maggiore, o è andato perduto o è identico al primo. Dei due lavori pervenutici il primo in do maggiore fu ritrovato soltanto nel 1961 da Oldrik Pulkert nel Museo Nazionale di Praga; l'autenticità del secondo, in re maggiore - scritto da Haydn quasi vent'anni dopo il primo - è stata a lungo discussa, finché la riscoperta dell'autografo intorno alla metà del XX secolo tacitò ogni dubbio. È opinione comune fra gli studiosi haydniani, da Robbins Landon a Karl Geiringer e a Wolfgang Marggraf (1990), che l'intima natura musicale del "padre" della sinfonia e del quartetto mal s'accordasse con quel "tratto artistico-brillante, un po' da commediante, senza il quale non è pensabile un vero virtuoso", come scrisse Geiringer nel 1958. Vero è che Haydn compose la maggior parte dei suoi concerti durante il primo decennio trascorso a Esterháza (1760-70), adattando la parte solistica alle capacità tecnico-espressive di questo o quel membro dell'orchestra di corte. Ciò non spiega tuttavia il fatto che i concerti haydniani spesso non raggiungono il livello artistico delle sinfonie e dei quartetti: il limitato interesse mostrato da Haydn per un genere ch'egli finì poi per abbandonare quasi del tutto può spiegarsi con la scarsa propensione del compositore al virtuosismo solistico, ma anche col volgersi del suo interesse all'elaborazione delle infinite possibilità della forma sonata all'interno di un discorso nel quale il "solo" emerge in un rapporto concertante-dialettico col "tutti", anziché stagliarsi, come una dramatis persona, in primo piano. La strenua ricerca da parte di Haydn di un'unità tematica, evidente nella tendenza a ricavare il secondo tema della forma-sonata dal primo, pare del resto mal accordarsi con quel principio antagonistico che dai tempi di Michael Praetorius costituisce una delle componenti essenziali nel genere "concerto" (all'idea del primo Barocco di un "suonare insieme" si affiancò presto quella dell'opposizione fra solista e orchestra). Il Concerto per violoncello in do maggiore (1760/65?) rappresenta tuttavia, in questo ambito, una splendida eccezione: nel primo movimento le figure tematiche si stagliano con una plasticità di disegno assolutamente individuale, non ostacolata per nulla dalla preoccupazione di assecondare le esigenze virtuosistiche del solista. Che Haydn, pur memore del modello barocco-vivaldiano della Ritornellform - riaffiorante, fra l'altro, negli interventi orchestrali dell'Adagio - sperimenti anche nel genere concerto le inedite possibilità della forma sonata, è testimoniato dall'impianto formale del movimento mediano, nel quale la funzione concertante-subordinata del solista è abbandonata in favore di una struttura dialogica non lontana da quella che diverrà poi normativa nei concerti mozartiani. Nell'Allegro molto finale Haydn concede al solista passaggi spiccatamente virtuosistici, improntati a quella brillantezza giocosa che tanta parte avrà nei finali dei concerti viennesi di Mozart.

 

Alberto Fassone (da www.sistemamusica.it)