La leggerezza di Mendelssohn
Sono celebri le prime cinque battute: solo fiati e solo accordi fermi, senza melodia. Quello che conta è il timbro, che alternando e incrociando gli strumenti cambia a ogni accordo e insegna all'ascoltatore del 1826 in che modo si possa far suonare la leggerezza. Di più: la nuvola di suono che apre l'Ouverture delle musiche per il Sogno di una notte di mezza estate è l'emblema della leggerezza, lo stendardo della fantasia libera, di un pensiero compositivo che fa saltare i canoni mettendosi a colorare cinque accordi fermi. Un modo ben strano di cominciare, nel 1826.
Shakespeare era di casa, dai Mendelssohn. D'estate, in giardino, si avvicendavano feste musicali e rappresentazioni teatrali e il giovane Felix aveva dunque modo di entrare in contatto con il meglio del repertorio. Così, a diciassette anni, scrive l'Ouverture, con quei cinque accordi che poi danno il via a una sfrenata corsa degli archi. Una corsa significativa: l'orchestra che scappa in avanti, che si intrufola tra gli alberi della foresta shakespeariana, è leggerissima, fatta di strumenti che hanno conosciuto il cielo, e quando il tema ritorna più avanti, dopo sei o sette minuti, ti accorgi di quanto i violini portassero in alto, perché sotto, a segnare la presenza del mondo reale, rombante, ci sono qui e là delle note di ottoni, interventi dei timpani. L'alto e il basso che insegnano a leggere in Shakespeare qui sono segnalati con evidenza, e il cuore di Mendelssohn sta senza dubbio in ciò che vola, che si alza, che è leggero.
La leggerezza, d'altronde, è la cifra della commedia, è il motore del gioco di amori e scherzi tra uomini e folletti che Shakespeare porta in scena nel Sogno. Mendelssohn la coglie con un lavoro di musica a programma nel miglior senso del termine (senza tralasciare effetti precisi, come il pungente raglio dell'asino): dopo l'Ouverture, agli inizi degli anni '40 proseguirà la partitura su commissione di Federico Guglielmo IV di Prussia per preparare il materiale necessario a un allestimento curato da Ludwig Tieck. E nascono musiche da suonare tra un atto e l'altro oppure melologhi, musiche da eseguire insieme alla recitazione.
Rimarrà nella storia, più che l'Ouverture, la marcia nuziale che all'inizio del quinto atto festeggia le nozze di Teseo e Ippolita, regina delle Amazzoni. Ma anche lì lo spirito, il senso della pagina sarà quello di sperimentare colori orchestrali nuovi, con impasti che, archiviato Beethoven, aprano all'Ottocento i percorsi dell'impalpabile.
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