Herbie Nichols e la sfida del jazz moderno
Oltre ad essere compositore e pianista, Herbie Nichols era poeta e scrittore.
Nel corso degli anni scrisse oltre cinquanta poesie e pubblicò numerosi scritti di critica musicale e sulla posizione della musica nella società.
In una serie di rubriche che parte dai primi anni Quaranta, Nichols esaminò il processo creativo, le opprtunità e i limiti dell'industria musicale e, più generalmente, il panorama politico. In questo periodo Nichols faceva parte di un gruppo di giovani musicisti che frequentavano la Minton's Playhouse e la Monroe's Uptown House, luoghi importanti nello sviluppo del jazz moderno. Gli scritti di Nichols mostrano non solo la sensibilità della sua critica sociale e culturale, ma costituiscono anche uno sguardo sugli sforzi dei jazzisti africani-americani all'alba del movimento musicale moderno.
Nichols fu brevemente titolare di una rubrica per il giornale africano-americano New York Age, prima di venir arruolato nell'esercito nel settembre del 1941 all'età di ventun anni. In una serie di articoli intitolati "The Jazz Life", Nichols diede voce alle sue opinioni sull'arte del jazz e sullo stato dell'industria musicale. I suoi commenti mostrano le possibili intersezioni fra questioni finanziarie e professionali e una più ampia visione artistica. Nichols era molto schietto e sanguigno quando parlava delle realtà economiche dell'industria della musica. I proprietari di club difficilmente confondevano fini e mezzi; i club esistevano con lo scopo precipuo di far profitto, non con quello di presentare bella musica. Nichols riconosceva il fatto che gli aspetti finanziari del jazz richiedevano spesso che i musicisti neri trascorressero in tournée lunghi periodi di tempo nonché un veloce ricambio di uomini e di investimenti. I musicisti dovevano anche vedersela con il regolamento statale dei nightclub eserctitato tramite le cabaret card, le licenze per i liquori e le sigarette, le ispezioni antincendio, sanitarie e di ordine pubblico. Nelle parole di Nichols, "la vita jazzistica è per il novanta percento apparenza e inganno".
Non mancavano tuttvia ragioni di ottimismo. Anticipando l'entrata in guerra imminente degli Stati Uniti e riconoscendo che la prima guerra mondiale aveva rappresentato un momento importante per l'attivismo nero e per la crescita dell'industria culturale ad Harlem, Nichols spiegava che "la guerra è un momento di boom per gli autori di canzoni". Per giunta, il pubblico bianco continuava a volere quel "divertimento primitivo" che non si trovava al di fuori del jazz. La sfida, dunque, per i musicisti neri, era di riconoscere i limiti nel lavoro del jazz e nello stesso tempo di coglierne le opportunità. Il "racket del jazz" forniva una "base finanziaria" alla vita e, fintanto che i musicisti avessere riconosciuto che il business era "un mezzo verso un fine" piuttosto che fine a sé, sarebbero sopravvissuti economicamente potendo allo stesso tempo perseguire dei progetti artistici seri. Nichols vedeva in Art Tatum l'esempio di qualcuno che aveva ottenuto un certo successo nel jazz rimanendo un esempio di originalità artistica e di genio musicale.
Tornato dalla guerra nel 1943, Nichols scrisse diversi articoli per The Music Dial, riprodotto su questo numero di AAJ Italia], una rivista musicale di proprietà nera che ebbe breve vita, i cui animatori vedevano la possibilità di una cambiamento democratico nell'industria musicale e nelle organizzazioni dei musicisti, se pure non risparmiavano critiche a queste istrituzioni. La pubblicazione esprimeva una prospettiva per la "Double V" (la doppia vittoria: oltremare nella guerra e a casa contro il pregiudizio razziale) e, talvolta, vicina a un internazionalismo di sinistra, nel modo in cui collegava le lotte antisegregazione e discriminazione nell'industria musicale a quella contro il razzismo, il fascismo, l'imperialismo e il classismo. Il piano programmatico del giornale articolava chiaramente gli scopi dei suoi redattori: proteggere gli interessi dei musicisti in servizio nelle forze armate e negli impianti di difesa. Creare un'agenzia generale che proteggesse il talento. Appoggiare le forze intente alla lotta per elevare il livello economico della gente comune.
In una serie di articoli sul "purista del jazz" pubblicati nel 1944, Nichols deprecava un'industria che marginalizzava gli afro-americani dal punto di vista finanziario e poco si curava della qualità della musica. Una soluzione al dilemma - sostenne in un articolo - sarebbe stato il patrocinio dello Stato. Ma in questi articoli Nichols si concentrò piuttosto su una devozione "purista" all'arte come mezzo per controbattere le difficoltà e promuovere lo sviluppo del jazz moderno. Sottolineando il fatto che "l'intelligenza nel jazz" era qualità rara, egli vide anche l'articolarsi di idee musicali nuove, innovative e fantasiose come maniera di migliorare la posizione del jazz e dare soddisfazione agli artisti. Nichols credeva che tali qualità potessero diffondersi nella comunità dei musicisti. Così scriveva: "Se i jazzmen preminenti troveranno possibile comunicare le proprie idee attraverso il proprio obiettivo pubblico, il purismo nel jazz non sarà più la rarità che si trova a essere nel 1944".
Vivere da purista del jazz, tuttavia, era cosa prima detta che fatta. Il ritorno a casa di Nichols fu marcato anche dalla disillusione e dalla difficoltà nel trovar lavoro suonando la propria musica (o qualunque altro tipo di jazz moderno, quanto a ciò). All'aprirsi del mercato al jazz moderno, dopo la guerra, le difficoltà di Nichols nel giuadagnarsi da vivere con la sua musica continuarono e persistettero poi per il resto della sua carriera, anche dopo le registrazioni Blue Note del 1956, criticamente acclamante.
In ultima analisi, gli scritti di Nichols a partire dagli anni Quaranta descrivono il difficile terreno che i musicisti creativi neri dovevano negoziare, cercando di equilibrare le loro aspirazioni artistiche con i fatti dell'industria musicale e della società in genere. Un pugno di musicisti vi riuscì, ma moltissimi si scontrarono con le difficoltà, come ci mostra l'esperienza di Nichols.
Eric Porter (da www.allaboutjazz.com/italy)