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Giuseppe Verdi

 

Compositore italiano, nacque a Roncole, Parma nel 1813.
Figlio di Carlo e della ventiseienne Luigia Uttini, gestori di un'osteria, sin da giovinetto manifestò un'irresistibile attrazione verso la musica, preferendo trascorrere le sue giornate a suonare l'organo della chiesa, piuttosto che a giocare, come gli altri bambini. A otto anni gli venne donata una vecchia spinetta, che tuttavia l'anno successivo era danneggiata dall'usura. Il cembalaro Stefano Cavalletti, chiamato a ripararla, fu tanto stupito dall'abilità con cui il ragazzino suonava da non pretendere d'essere ricompensato per il suo servigio.
Appresi primi rudimenti della musica dal parroco di Roncole, Don Pietro Baistrocchi e dal Monsignor Paolo Costa, e verso i dodici poté svolgere mansioni organistiche nella chiesa di Roncole. Alla morte dei suoi insegnanti, venne inviato a Busseto per approfondire la sua educazione musicale. In questo piccolo centro conobbe Antonio Barezzi, notabile cittadino e presidente dei Filarmonici di Busseto, e il direttore della banda, Ferdinando Provesi, che divenne il primo vero maestro di Verdi.
Non ammesso nel Conservatorio di Milano per aver superato i prescritti limiti di età, Verdi, fornito d'una borsa di studio del Monte di Pietà di Busseto, perfezionò privatamente la sua cultura musicale con il Maestro Vincenzo Lavigna.
Nel 1836, ritornato a Busseto per assumere un incarico musicale presso il Comune, si fece apprezzare quale direttore di banda, compositore e pianista.
Nello stesso anno sposò Margherita Barezzi, ch'era stata sua allieva di pianoforte durante la permanenza di Verdi a Busseto. La loro unione fu breve, perché la giovane spirò nel 1840, dopo aver perduto i due figli nati dal matrimonio.
La prima opera di Verdi, Oberto conte di San Bonifacio, risale al 1837, ma l'impresario Bartolomeo Merelli riuscì a farla rappresentare alla Scala solo nel 1839, dove fu accolta con favore dal pubblico milanese. Sollecitato dallo stesso Merelli, compose l'opera comica Un giorno di regno o Il finto Stanislao sul libretto di Felice Romani rappresentato con scarso successo nel 1840.
Prostrato, incapace di dedicarsi alla musica, e indifferente alle richieste degli impresari, ritornò a Busseto, dove, dopo molte insistenze, acconsentì a musicare un'opera che segnerà la sua fortuna: Nabucco, rappresentato a Milano nel 1842. Il grande successo riscosso dall'opera consentì al giovane compositore d'essere accolto nei circoli intellettuali milanesi e nel salotto della contessa Clarina Maffei che d'allora divenne sua intima e preziosa amica.
Con I Lombardi alla prima crociata (1843) la musica di Verdi entrò nel clima e nella coscienza risorgimentali come componente di rilievo della storia di quegli anni. L'accostamento della sua musica agli ideali patriottici continuò con l'Ernani (1844), le cui pagine corali assunsero valore di vere manifestazioni politiche anti-austriache.
In Italia il successo di Verdi fu prevalentemente assicurato da queste allusioni politiche intraviste — e desiderate — nelle sue opere. Dopo un periodo di ricerca, compose I due foscari (1844), Giovanna d'Arco (1845) e Alzira (1845), Attila (1846) e il Macbeth (1847), che riportarono la musica verdiana nelle speranze dei moti rivoluzionari. Compose inoltre I Masnadieri e Jerusalem, che venne eseguito all'Operà di Parigi. Il riferimento alla situazione politica italiana consolidò il prestigio del musicista non soltanto nei più diversi strati popolari, ma anche nei più qualificati ambienti culturali. Una punta massima di fervore musicale e patriottico è nella Battaglia di Legnano (1849), eseguita a Roma in pieno clima repubblicano.
Sul finire di quello stesso anno, Verdi ricostruiva la propria vita familiare, trasferendosi a Busseto con il soprano Giuseppena Strepponi, protagonista di Nabucco, con cui aveva intrecciato una relazione amorosa sin dai tempi di Parigi. Ritornato a Busseto, nella sua nuova villa di Santa Agata, Verdi attese alla composizione della Luisa Miller (1849) e d'uno sfortunato Stiffelio (1850).
Seguì la famosa triade di capolavori: Rigoletto (1851), Il trovatore (1853), La traviata (1853) nelle quali si compie il passaggio dell'accesa coralità delle primissime opere al dramma di singoli personaggi, delineato musicalmente fin nel profondo delle loro passioni. La portata europea del genio di Verdi fu suggellata a Parigi nel 1855 con I vespri siciliani, cui seguirono il Simon Boccanegra (1857) e Un ballo in maschera, nel 1859, anno in cui Verdi sposò Giuseppina Strepponi sua compagna sin dal 1842 (fu la prima interprete del Nabucco).
Le famose scritte di Viva Verdi con il riferimento a "Vittorio Emanuele re d'Italia", risalgono alle rappresentazioni napoletane del Ballo in maschera. Nello stesso 1859, Verdi fu eletto deputato al Parlamento e nel decennio 1860-1870 si agitò nella sua coscienza di grande compositore il dramma d'una fondata crisi musicale e morale.
I tempi erano cambiati, l'unità del Paese comportava sacrifici anche nel campo della musica, dove intanto veniva affermandosi l'esperienza della grande musica romantica e quella del teatro wagneriano. Sono anche gli anni della morte del padre (1867), del Barezzi e dei rifacimenti di opere più antiche e nuovissime. Ricompose il Macbeth nel 1865, e nel 1869 provvide a una nuova edizione della Forza del destino che era stata data a Pietroburgo nel 1862.
La solitudine verdiana, dolentemente espressa nel Don Carlos (1867), venne superata dall'Aida (1871) e dal Simon Boccanegra (rappresentato in rifacimento nel 1881), opere in cui palpita, pur con rimpianti d'un tempo perduto, il sentimento della nuova stagione verdiana. Vengono poi l'Otello (1887) e il Falstaff (1893), preparati oltre che dalla accumulata esperienza melodrammatica, anche dallo slancio della Messa di requiem (1874) dedicata alla memoria di Manzoni, nella quale appunto è da ritrovare la rinascita del genio verdiano. È dal Requiem che la terrena vecchiezza del musicista raggiunse l'eterna giovinezza dell'arte. La lunga parabola verdiana viene solitamente suddivisa almeno nei due momenti dell'età giovanile e rude, e dell'età matura.
In realtà nel lungo arco della vicenda artistica verdiana la musica si rinnova senza mai rinnegare i primi atteggiamenti stilistici, ma sempre svolgendo unitariamente il filo che lega insieme i grandi sentimenti e le grandi passioni dell'uomo delineate da Verdi in inedite figurazioni musicali. Gli antichi schemi melodrammatici ai quali egli tuttavia si mantiene vicino, vengono illuminati, forse per l'ultima volta in un secolo così musicalmente ricco quale l'Ottocento, come strumenti anche di una altissima coscienza civile e morale.
La forza della musica è anche la capacità di proiettarsi come riflesso dei grandi fatti della vita umana, combattuta tra l'amore e il dolore, ma trionfante alla fine in una sua terrestre dolcezza (Falstaff).
È per questa consapevole forza sradicatrice di debolezze e di compromessi che il melodramma verdiano non ha perduto nel succedersi delle generazioni una sua particolare, vivificante emozione.
Completano l'attività di Verdi alcuni pezzi sacri, un Quartetto (1873) per strumenti ad arco. Fondò a Milano una casa di riposo per musicisti (e lì fu trasferita la sua tomba) alimentata tuttora dai proventi delle sue opere.
Morì a Milano nel 1901.