Franz Berwald, lo sconosciuto che viene dal Nord
"... Il suono del pianoforte giungeva da lontano, da finestre aperte. Era mattina e Karen scendeva di corsa dal viottolo che si allargava snodandosi dalla cima della collina. Sembrava fuggirne, ma era lieta. Tutto era chiaro: il viottolo già assolato, le case, il vestito che si tendeva al vento, le foglie delle piante, da poco nate, quasi argentee, che annunciavano vibrando il San Giovanni dell'indomani. Anche la musica, sempre più udibile avvicinandosi, sembrava fondersi con la luce. Karen non ne percepiva chiaramente la melodia: era nell'aria, impalpabile, ma vitale. La musica, aveva detto una volta il Pastore, serviva a rendere più luminoso il mondo, a vedere dentro i cuori della gente quel chiarore che l'inverno, l'inverno dell'anima e della natura, ci nega. Passando accanto alla casa del musicista, Karen era come abbagliata dallo sfarfallio luminoso delle note. La bianca notte di San Giovanni sarebbe apparsa ancora più vivida con quella musica. Ah se potesse ricordare fino alla festa il motivo di quella che ormai le sfuggiva alle spalle..."
Così scriveva Selma Lagerlöf nel Viaggio meraviglioso di Nils Holgersson. Non è certo annunciata un'altra pétite phrase, ma l'identificazione tra suono e luce richiama l'immagine proustiana dell'incommensurabile tastiera che mostra, a nostra insaputa, la ricchezza e la varietà nascosta nella "vasta notte impenetrata e scoraggiante della nostra anima, da noi scambiata per vuoto e nulla."
Non è dato sapere a quale artista alludesse la scrittrice, ma è certo che il mondo nordico chiede alla musica, ancora di più di quanto non faccia un popolo del Mediterraneo, un aiuto per vedere oltre il buio.
Anche Franz Berwald, ha cercato di riverberare chiarità di cieli biancheggianti, pensando al suono con la stessa struggente passione di chi, chiuso in un'oscurità irrimediabile, dilata le pupille, pronto a cogliere un minimo lontano baluginio.
Eppure le sue composizioni stentano ad essere conosciute. Una delle più prestigiose case editrici internazionali ha da poco completato la pubblicazione dell'opera omnia: qualche incisione, specialmente delle sue Sinfonie, è già apparsa da tempo, ma subito misteriosamente esaurita, senza la possibilità d'appello di una ristampa.
Ancora una volta si propone il caso di un musicista sconosciuto che qualcuno decide di "riscoprire"? Il caso è noto e malinconico: io ho visto decine di cassepanche ricolme di carta pentagrammata fittamente riempita di segni ora febbrili, ora ben ordinati con il desiderio palese di simulare un'edizione a stampa. Conservate nelle case degli eredi, quasi sempre con smarrita e impotente riverenza, mi sono spesso apparse patetiche testimonianze di un amore verso la musica non corrisposto. Vite intere di uomini, certamente degnissimi, si consumarono per tracciare quei milioni di segni corrispondenti a suoni che nelle speranze dei loro illusi creatori, avrebbero dovuto prendere vita in un futuro non immemore. E invece dopo un non troppo convinto accenno dei nipoti a camarille degli editori e ad invidia di colleghi più fortunati, quelle cassepanche continuano a racchiudere desolate e ingiallite spoglie che esalano un fatale sentore di polvere, presenza funebre di un'irrimediabile inutilità.
Se è vero, come è vero, che Franz Berwald è musicista di grande valore, il fenomeno del ricupero tardivo di questi ultimi tempi è essenzialmente da attribuirsi al fatto che qualcuno, dopo tanto tempo, ha aperto il ripostiglio giusto, quello su mille che conteneva ancora il tesoro. Può rinascere la tentazione d'andare nelle case della gente a chiedere se mai esistano tracce di avi eventualmente musicisti. Ma, si capisce benissimo, il caso di Berwald è del tutto eccezionale, come quando in un fienile viene trovato uno Stradivario dimenticato da secoli. Basta però per riscaldare le speranze di chi crede, per esempio, che la musica in Italia, dalla seconda metà del secolo scorso al 1920, non sia esaurita con la grande produzione melodrammatica.
Nel nostro tempo il nome di Berwald apparve la prima volta in un articolo di giornale pubblicato a Stoccolma nel 1920; niente di più di un puntiglioso e veloce ricordo di un coscienzioso biografo. Nel dopoguerra si aggiunsero altri brevi studi, destinati presumibilmente alla minuscola comunità internazionale degli archivisti eruditi.
Nel 1962, mi si perdoni l'accenno personale, io avevo ricevuto dall' Unesco una borsa di viaggio per visitare i Paesi scandinavi, darvi concerti e presentare quindi una relazione su quell'esperienza. Rimasi tre settimane nella capitale svedese. Incontrai, grazie alle credenziali di cui disponevo come borsista molti musicisti e uomini di cultura, tutti bene informati sulle realtà musicali del Paese. Diversi tra essi erano persino al corrente che un certo Raffaele delli Ponti, mio nonno, era stato direttore d'orchestra per più di un decennio al Teatro Reale dell'Opera di Stoccolma. Ma nessuno mi accennò al caso di Berwald, oggi ritenuto il maggior musicista svedese d'ogni epoca. Evidentemente la cassapanca con la sua musica giaceva, ancora per poco, in qualche soffitta. Tuttavia il suo nome non era ignoto ai grandi repertori bio-bibliografici e le notizie ricavabili avrebbero comunque dovuto collocarlo come momento non privo di significato nella non vasta storia delle vicende della musica in Svezia.
La famiglia, d'origine tedesca, proveniva da Bärwalde (da cui il cognome), l'attuale Barwice in Pomerania. Un Johann Friedrich, (1711-1789) flautista di vaglia, ebbe ben 25 figli, sei dei quali divennero musicisti. Uno di essi, Christian Fiedrich, allievo di Benda a Berlino, fu dal 1773 violinista alla corte di Svezia. Si formò presto un' orchestra reale che nei primi decenni del secolo doveva essere formata per almeno metà da fratelli e cugini, tutti col nome della prolifica e musicalissima famiglia. Di essa facevano parte anche tre cantanti a quel tempo famose, le sorelle Berwald, Fredrika, Julia Mathilda e Hedweg. Il nostro autore, provvisto quindi di un numero sovrabbondante di zii musicisti, nacque a Stoccolma il 23 luglio 1796. Avviato naturalmente al violino, a nove anni dava già i primi concerti. Ma venne sottoposto ad una disciplina severa: scuole normali insieme ad altri ragazzi e robusti studi di organo, canto corale e composizione con il padre ed un paio di zii. In ogni caso per lui era pronto il ruolo di primo violino nell' orchestra di corte.
A ventidue anni fondò un giornale musicale, ma i pur numerosi parenti ed amici di buona volontà non riuscirono a garantire una tiratura adeguata e l'iniziativa morì quasi subito. Un anno dopo riprovò, ma l' esito fu identico, anche se la rivista uscì stentatamente per quasi un anno. Il giovane Berwald aveva evidentemente delle idee nuove da comunicare. La carta da musica non gli bastava, anche perché la società d'allora rifiutava tenacemente di aprirsi al credo romantico al quale egli aderì con totale entusiasmo. Del resto in Svezia, proprio in quegli anni, fiorivano numerose riviste, destinate ad un'élite coltissima che lottava per l'affermazione, attraverso la persuasività dei linguaggi artistici, di nuovi ideali di vita. Ad esempio nel 1810 era apparso ad Uppsala il mensile Phosphoros che, sostenuto dalla classe intellettuale di quella antica città regale e universitaria, cercava di rendersi testimone e divulgatrice di quell'immenso coagulo di pensiero che in tutta Europa fu l'esperienza romantica. Politicamente la Nazione stava uscendo con fatica dal novero di potenza periferica, battagliera e innovatrice con Carlo XII, ma ormai ispirata a vetusti principi. Nel 1810 il moderno stato scandinavo nasce con l' elezione a Principe ereditario del Maresciallo francese Bernadotte, il quale assicurò alla Svezia una rete di relazioni europee prima d'allora quasi del tutto inesistenti.
Tale trasformazione non poteva inevitabilmente che riflettersi anche nei costumi e nelle tradizioni espressive di un popolo molto legato ad un passato arcaico quando non direttamente connesso con epoche leggendarie. Il trauma sarebbe stato mortale in un altro ambiente umano. Un carattere nazionale che difficilmente raggiunge clima passionale nelle proprie esperienze e riesce a fare le rivoluzioni evitandole accuratamente, attutì ogni spinta verso lo Sturm und Drang. Sicché nei primi decenni del secolo scorso per arte si intendeva praticamente solo il classicismo. La musica era o un lusso d'importazione o un rustico ornamento nelle feste paesane. Gli organisti nelle chiese luterane vivevano di carità e non erano sottoposti ad un regime contrattuale come avveniva da sempre in Germania.
Un capitolo non trascurabile di quella disciplina ancora di fatto inesistente, ma fondamentale che dovrebbe essere la storia economica dello sviluppo di un'arte, potrebbe essere scritto sulla Svezia di quel tempo, alle prese col sorgere di moderne attività musicali con il loro potente effetto sociale e culturale.
Il primo musicista svedese era stato, sembra, Gustav Döben, allievo del tedesco Buxtehude, morto alla fine del 1600. Ve ne furono altri, allievi ora di Haendel o della scuola di Mannheim. Un bolognese, Francesco Uttini fu il primo compositore di melodrammi in lingua svedese. In un contesto di questo genere il giovane Berwald, nutrito e infiammato dal nuovo verbo romantico, privo di una vera tradizione su cui innestarsi, magari rinnovandola profondamente, non poteva trovare uno spazio possibile e lasciò quindi il proprio Paese. Nel 1829 si stabilì a Berlino. Si fece conoscere e stimare dai soliti pochi intenditori, ma il pubblico rimase se non ostile, certamente freddo. Egli fece così l'esperienza amara, non tanto d'essere incompreso, quanto di dubitare profondamente di se stesso. Nel 1835 addirittura cambiò radicalmente e paradossalmente attività, aprendo nella capitale prussiana un istituto ortopedico. Nel 1841 si recò a Vienna per riprendere l'attività artistica e, riscaldato da qualche tiepido successo, volle tornare in patria. Ma non riuscì ad imporsi. Tentò con maggior successo la carriera di direttore d' orchestra. Nel 1850 si trasferì in una città di provincia dove si dedicò a modeste iniziative industriali riguardanti cinti erniari. Questa sconcertante vita (ottimo soggetto per un film di Bergman sulle crisi d' identità) ebbe termine nel 1867 quando finalmente venne chiamato ad insegnare composizione al Conservatorio di Stoccolma.
L'anno dopo scomparve tra il disinteresse generale. Lasciò quattro sinfonie, sei melodrammi (tra cuiLa Regina di Golconda che trionfò in prima esecuzione assoluta nell' ingrata Stoccolma solo nel 1969). Scrisse pure dei poemi sinfonici, concerti solistici, varia musica da camera e corale.
L'incomprensione del pubblico da cui Berwald fu costantemente afflitto in vita, non gli impedì soddisfazioni più intime e ben diversamente gratificanti con la stima di famosi musicisti del proprio tempo. Liszt, che influì su di lui col germe del poema sinfonico, rilasciò pubbliche dichiarazioni di grande apprezzamento, ma forse perché tutto preso dalla divulgazione del verbo wagneriano, non alzò mai la bacchetta per dirigere un suo brano. Tausig suonò ripetutamente la sua produzione cameristica, ed anche la versione per pianoforte solo del Klavierkonzert in programma questa sera , versione voluta ed autorizzata dallo stesso Autore. Chi forse meglio capì il nostro musicista fu Hans von Bülow che con una semplice frase lo definì con smagliante chiarezza chiamandolo "quel vecchio musicista del futuro".
Oggi si tende a considerare Franz Berwald il vero fondatore della moderna tradizione musicale svedese, una specie di Berlioz scandinavo come qualcuno, spropositando, scrisse. A me personalmente questo genere di definizione non stimola altro se non le consuete reazioni verso gli episodi di umorismo involontario. Ma cosa in realtà conosciamo della Svezia noi europei del sud? A parte una splendida e unilaterale filmografia ormai ben nota, i benemeriti libri pubblicati recentemente dall' Iperborea, viene il sospetto di essere certi solo di una serie di probabile calunnie circa l'atrofia spirituale, sui costumi sessuali totalmente disinibiti, sullo stato assistenziale dalla culla alla bara, e sul numero dei suicidi.
La realtà è certamente ben diversa, complessa, contraddittoria come sempre quando ci si accorge che il morbo della generalizzazione ha dilagato. E poi le voci degli artisti si alzano dalla terra d' origine per portare alla gente anche verità meno effimere di quelle delle cronache quotidiane.
Mathilde Berwald, la vedova di Franz, redasse un catalogo delle opere praticamente tutte inedite del proprio sfortunato marito. Il Concerto in re maggiore venne datato, insieme al figlio Hjalmar, anch'egli musicista, con le parole Stockolm Novem 1855. Nel 1872, quattro anni dopo la morte del compositore, il Klavierkonzert fu presentato ad un concorso indetto dalla Accademia svedese di arte e cultura. Ma in quell'anno nessun'opera giunse all'onore della pubblicazione. Venne eseguito la prima volta, nella versione per pianoforte solo, a Stoccolma nel 1904 dalla nipote Astrid , figlia di Hjalmar Berwald. Le quattro Sinfonie, e la Seconda e la Quarta sono veri grandi capolavori, furono fatte conoscere al pubblico solo negli ultimi 25, 30 anni. Il Klavierkonzert, edito dalla Bärenreiter con grande accuratezza di apparati critici nel 1972, fu eseguito una decina d' anni più tardi.
I tre movimenti , Allegrocon brio, Andantino e Allegro molto sono del tutto fusi tra loro. Gli spunti tematici , le fioriture e il gioco virtuosistico conferiscono alla parte pianistica quell'importanza predominante e quella continua presenza della tastiera che giustifica ampiamente la scelta dell'Autore di consentirne l'esecuzione "cameristica" nonostante l' eccellente cura timbrica della partitura.
Il gioco del cercare di scoprire derivazioni può spaziare tra i nomi del pianismo cosiddetto Biedermeier e quelli di Mendelssohn, Hummel, Chopin, ma non è molto più probante del trovare ad ogni costo rassomiglianze al papà o agli zii per un neonato che, bello o brutto, assomiglia di certo solo a se stesso.
Mario Delli Ponti