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Franco Battiato

 

Difficilissimo parlare di Franco Battiato: l'universo che ruota attorno all'artista siciliano è quanto di più complesso, eccentrico ed ermetico ci sia, un insieme di opposti comprensibili con l'ascolto delle sue innumerevoli ed eterogenee opere, con l'approfondimento dei suoi studi e delle sue opinioni (e servirebbero poi un sito intero per spiegare il tutto in modo esauriente…). Battiato non è solo il fortunato autore dell'esotico e delizioso pop a cavallo tra anni '70 ed '80, né l'artista irrequieto delle opere classiche e della filosofia in musica degli anni '80 e '90, tantomeno lo sperimentatore rock degli ultimi anni: durante gli anni '70 ha tracciato un solco fondamentale nella musica moderna grazie alle sue opere, lavori in parte influenzati dall'estetica progressive di quegli anni, amatissimi dalla critica e da cerchie più o meno ristrette di intellettuali, spesso ostici al grande pubblico.
Dedichiamo un ampio spazio ai primi tre lavori di Battiato, una sorta di trilogia in cui l'artista siciliano dimostra una creatività e un gusto per la sperimentazione che gli frutteranno notorietà internazionale tra gli autori di musica contemporanea. Opere che rappresentano solo l'inizio di una carriera che ancora oggi lo vede produttivo ed inesauribile, vero e proprio "unicum" nel panorama musicale degli ultimi trent'anni.
Premessa storico-cronologica: Battiato nasce a Jonia (CT) nel 1945, si trasferisce a Milano e incide verso la fine degli anni '60 una serie di "canzonette", in seguito rinnegate. All'alba degli anni '70 avviene il suo passaggio alla "sperimentazione", parallelo al nascente interesse della Bla Bla Records di Pino Massara verso realtà progressive e d'avanguardia: sarà così che, dopo aver collaborato con il gruppo Osage Tribe, sforna per Bla Bla questo "Fetus", lp amatissimo nonché primo tassello di una produzione tutta all'insegna del fervore creativo.
Dissacrante nei toni e nella grafica (celebre la copertina con il feto in primo piano), a volte ingenuo negli obiettivi, dedicato allo scrittore Aldous Huxley (quello de "Le porte della percezione"…) e concepito con un team di intellettuali ("esperti collegati"),l'album "Fetus" (Ritorno al mondo nuovo) è un emblema di bizzarria e nonsense, esperimento imprevedibile e mosaico di improvvisi squarci melodici, domande senza risposta (o rimandate alle opere successive), il tutto condito da un perenne senso di ironia e di curiosità intellettuale/musicale. Il battito del cuore in apertura, il cantato volutamente eccentrico e le modulazioni delle tastiere rendono "Fetus" spettrale e grottesca, non priva di un certo fascino e piena di suoni innovativi per l'epoca; alla title-track segue il paradossale tuffo melodico di "Una cellula", ipnotico ed avvolgente discorso intorno alla genetica ed all'evoluzione e squarciato dall'amato sintetizzatore VCS 3, sorta di feticcio, simbolo dell'innovazione di Battiato, a quanto pare il primo ad averlo usato in modo intensivo.
E che dire dell'ironico country/folk rock (con tanto di violino) di "Cariocinesi"? Come esporre un processo di divisione cellulare su una base musicale accattivante e quasi "spensierata"...
"Energia" riprende l'esordio di "Fetus" arricchendola di voci di bambini e creando un'atmosfera ipnotica e fluttuante, a tratti epica, con una melodia sotterranea a dir poco sorprendente. Una serie di domande sul senso della vita e della procreazione, una sorta di manifesto delle ansie e della tensione stemperate in un contesto di nonsense e sarcasmo, tipico dell'autore catanese.
"Fenomenologia" si appropria della struttura della ballata innocente e sognante, la utilizza sino a distorcerla in un rituale surreale e percussivo, base per un'assurda filastrocca che recita formule algebriche e chimiche… Il brano in questione è un evidente esempio del gusto per il collage ed il puzzle sonoro che troverà sempre maggiore diffusione nei suoi lavori. "Meccanica" è a suo modo un capolavoro di "assemblaggio", vicina com'è ad umori progressivi (l'invasione ed il violentissimo assalto musicale, moog in testa), atmosfere al limite del folk più delizioso (violino e percussioni, alcune già campionate…) e d'avanguardia (i cori lunatici, il ritmo ossessivo). Pensate poi che sull'"Aria sulla Quarta corda" di Bach sono inseriti i campionamenti (ante litteram!) delle voci degli astronauti dell'Apollo 11...
Il gruppo che supporta Battiato è composto da fedelissimi come il percussionista Gianfranco D'Adda ed il bassista Gianni Mocchetti: stupendo è lo space/ambient "sui generis" di "Anafase", anch'essa ossessiva e penetrante, estremamente vicina al dadaismo dei primi Tangerine Dream, fino a planare nei dolci e consolatori arpeggi di chitarre. Assurdo eppure affascinante.
Il finale è affidato a "Mutazione", un suono ancestrale che viene dalla notte dei tempi ed esplode con grandiosità: la percussioni marziali ed i cori a sostegno del roboante lavoro di tastiere, evocativo e angosciante. Da ricordare che sempre nel 1972 verrà pubblicato un 45 giri con inediti, "La convenzione"/"Paranoia", molto ricercato. E che Battiato vincerà anche il Premio Billboard - Discografia Internazionale.
Senza mezzi termini il secondo album, "Pollution", è nettamente superiore al precedente, pur pregevole e pieno di idee argute e realizzate anche solo in parte: un lavoro di conferma e di rinnovamento (come foto nel retro una croce col volto stilizzato di Battiato…), dedicato stavolta al Centro Internazionale di Studi Magnetici (di cui un inquietante avviso è riportato nelle note…) e maggiormente teso alla provocazione ed alla dissacrazione, complice anche la presenza di Gianni Sassi.
Ascoltate il valzer d'apertura su cui Battiato recita le sue sconcertanti domande ("Ti sei mai chiesto quale funzione hai?"…): aggressivi riffs di chitarra, organo e VCS 3 corroborano poi "31/12/1999-ore 9", apocalittico e singolare episodio che apre alla magnifica performance di "Areknames". Forse il brano più progressivo del primo Battiato, è un roboante assalto di moog con mantra e formule esoteriche, ora sussurrate ora recitate come ossessiva litania: il "giocattolino" di Battiato, il VCS 3, esplora qui tutte le sue possibilità e vibrazioni sino all'esplosione finale che, seppur meno avanguardistica di ogni brano precedente, possiede un fascino poetico ed una capacità ipnotica che la collocano tra le vette del progressive di ogni tempo e luogo. Con "Beta" (dovrebbe essere un elettrone) si penetra in territori opposti, quelli della sperimentazione a tutto spiano: le tastiere che creano atmosfere lugubri e surreali, il recitato assurdo eppur pieno di significati reconditi fino alla lunga e ipnotica nenia, con il suo piano ossessivo, le sue urla ancestrali, i sussurri orrorifici e le chitarre acide, creando quelle atmosfere in bilico tra free jazz e space rock tanto amate dai francesi Magma. Un brano ancora oggi sconvolgente.
Ricordiamo anche la presenza di Roberto Cacciapaglia (gli dedicheremo un ampio speciale) al piano e VCS, Mario Ellepi alle chitarre, i fidi sodali Mocchetti e D'Adda, tutti tesi ad assecondare le lucide follie dell'autore.
Le stesse atmosfere sinistre le rivive "Plancton", coraggioso tuffo negli abissi più neri, recitato con il ritmo e la tensione più paradossali ("…Le mie squame diventano alghe…"), un'evoluzione musicale che viaggia tra elettronica e folk, tra litania e rock, il tutto nel segno del dramma e della pura imprevedibilità; "Pollution" è invece un esempio degli scenari più desolati reso ipnotico dal suono delle o­nde, marea su cui si innestano i suoni più disparati. Un senso catartico si eleva dal brano, a testimoniare la tensione ideale che muoveva l'artista siciliano e che rende la title-track una sorta di lavacro purificatore dall'altissimo valore artistico. Sino a spiazzare con la recitazione di un teorema di fisica: sorretto com'è da un impianto musicale di prim'ordine il brano è un capolavoro assoluto. "…Atomi dell'idrogeno, campi elettrici…". Spettacolare, perché netto è l'equilibrio tra tutte le componenti che caratterizzavano in modo latente "Fetus".
"Ti sei mai chiesto quale funzione hai?", domanda che apriva l'album, lo chiude con quella permanente sensazione di disagio e di imbarazzo, provocata dall'essere in bilico tra colto e lieve, tra sarcastico, grottesco e drammatico, tendenza che Battiato continuerà ad avere nel corso della carriera: tra sospiri, sbadigli, brividi ed arie classiche si chiude uno degli esempi più belli e fulgidi di quel senso di curiosità che animava le avanguardie dei primi anni 70. Per me un piccolo capolavoro.
Battiato raccoglie apprezzamenti e notorietà internazionale ma non si ferma, i suoi studi proseguono con un'avidità ed una bramosia spaventose, i contatti con la musica colta e minimalista (Stockhausen e John Cage), l'interesse per la cultura asiatica, balcanica e mitteleuropea, per l'esoterismo e la filosofia, insomma tutto ciò rappresenta il retroterra su cui nasce quello che è considerato il migliore dei suoi album "progressivi".
"Sulle corde di Aries" è palesemente diverso dai precedenti, più rilassato e disteso (le lunghe "suites" dilatate ed eteree), meno nervoso e distaccato ma altrettanto ansioso di comunicare e sperimentare linguaggi e suoni non conosciuti. L'organico è ridotto a trio (con Mocchetti e D'Adda) ma si amplia la cerchia dei collaboratori (addirittura un'intera sezione di fiati); viene meno il gusto per il paradosso e per il nonsense, avanza incontrastato l'amore per la free-form e l'esotico, ammantato di mistero, di rimembranze e reminiscenze.
"Sequenze e frequenze" segna un nuovo inizio: sonorità più rarefatte e melodie finissime, un'alchimia rarissima dove le voci soprano (Rossella Conz e Jutta Nienhaus) aprono la via ad una primitiva forma di cantato per un Battiato quanto mai immaginifico. Un lirismo commovente e la poesia delle liriche, le suggestioni etniche appena sussurrate e le "urla" elettroniche, i surreali ritmi di chitarre e percussioni, gli ipnotici ed "itineranti" tappeti di tastiere e kalimba ne fanno una composizione infinita, priva di ogni regola e laccio formale. Sono spinti su territori ancor più estremi le ricerche di East of Eden e Third Ear Band, un crescendo di pura ed imbarazzante fantasia.
Poi "Aries", sulle cui corde il trio, con l'aiuto di Gianni Bedori al sax tenore, imbastisce un lavoro ancora più vicino ad un certo esotismo, con il suo profumo "desertico", il suo flirtare col jazz colto ed i suoi cori evocativi: un "pastiche" in cui passato (percussioni) e futuro (tastiere) convivono legati dalle urla lancinanti del sax. La tensione di quello scorcio di anni rivive in musica. La particolarità di questo lavoro è in questo, non più la forza dissacrante diciamo pure "facile", ma una musica "totale" e "trasversale", dove la voce diviene suono e si fonde con gli altri in un amalgama felicemente sereno.
E' la volta della meraviglia di "Aria di rivoluzione", ispirata al poeta Wolf Iermann: finalmente Battiato canta e commuove, il recitato della Nienhaus, il violoncello di Jane Robertson (direttamente dall'ensemble di Don Cherry) ed i fiati di Daniele Cavallanti (membro dei "colleghi" Aktuala), un rito ancestrale riportato alla luce, una magia sprigionata con arte e sensibilità, una "liturgia" innovatrice. E di nuovo, sotto la coltre di ermetismi ed allegorie, è colto il senso della ribellione e della ricerca. Un capolavoro per cui è sciocco parlare di "vecchiume" o modernità: è un'opera senza tempo e quindi non soggetta alle leggi della natura, c'era e ci sarà.
"Da Oriente a Occidente" conclude una felicissima creazione in modo ancora sorprendente: l'Oriente immaginario, le Mille e una notte e le dune del deserto, la capacità immaginifica, l'eleganza e l'ammirevole coraggio. Un incantesimo struggente, l'andatura vibrante ed o­nirica, i preziosi "cameo" di oboe (Gaetano Galli) e VCS3, i lontanissimi echi di ere perdute nell'oblio, un suono progressivamente più puro e primordiale, una processione sonora che risale alla preistoria della Musica.
Vetta inimitabile ed irraggiungibile.
Dopo "Aries" Battiato approda definitivamente alla corte del maestro Stockhausen, allarga quindi i suoi studi alla musica colta tout court, ad esempio "Clic" ('74), mirabile manifesto di roboante (e spesso cacofonica…) ricerca elettronica ed interrogativo collage sonoro; presta la sua opera tra Bla Bla e Cramps (Duello Madre, Finardi, l'esperienza elettronico/free del Telaio Magnetico, una capatina in casa Jumbo); passa per "Juke box" e "L'Egitto prima delle sabbie" (Premio Stockhausen come miglior composizione per piano), sempre più avanzati e curiosi quanto inesorabilmente distanti dagli esordi, nasce poi la collaborazione con Giusto Pio e con l'ambiente accademico. La sua vitale ed estrema intelligenza lo porterà a cercare una comunicazione più ampia (ma non per questo più diretta...) col grande pubblico: è l'avvento de "L'Era del Cinghiale Bianco" ('79), primo di una lunga serie di fortunatissimi lavori (pensate a "La voce del padrone", "L'arca di Noè" e "Patriots") che segneranno anni '80 e '90. Un pop d'autore, una sorta di musica colta per tutti, tra esotismo e raffinatezze formali, disco-music e classica, walzer, lieder ed ambient, passando per colonne sonore ("Benvenuto Cellini"), vere e proprie opere classiche (penso a "Messa arcaica" e "Gilgamesh"), pop ricercato e mistico ("Fisiognomica", "Caffè De La Paix") sino al fragoroso e filosofico rock elettronico dei giorni nostri, quello de "L'imboscata", "Gommalacca" e "Ferro battuto".
Una carriera fortunatissima e felice di "esploratore" a tutto tondo, sinceramente unica.

 

Donato Zoppo (da www.movimentiprog.net)