Don Giovanni, non lasciate a casa il cuore
A Praga, al centro di uno squallido quartiere industriale sulla riva Ovest della Moldava, esiste ancora la villa dove Mozart lavorò, nel settembre e ottobre del 1787, alla stesura del Don Giovanni. La sua stanza conserva la tappezzeria verde intessuta di motivi floreali, il pavimento di legno e le decorazioni del soffitto. Possiamo immaginarcelo seduto al tavolo, la notte precedente la prima, a terminare l'Ouverture alla luce di qualche candela, mentre la moglie Costanza gli racconta storielle e barzellette per tenerlo sveglio. I copisti vennero a ritirare il manoscritto alle sette del mattino e l'orchestra eseguì questo pezzo molto difficile senza la consolazione di una prova: molte note caddero dai leggii quella sera, ma fu un trionfo. Praga amava Mozart e ne era ricambiata. Qui non c'era l'atmosfera soffocante di Vienna, le gelosie, gli intrighi di Salieri e la costante necessità di compiacere l'incompetenza musicale dell'imperatore Giuseppe II. Qui si amava semplicemente la buona musica. Dopo il successo di Figaro, Praga aveva commissionato al compositore una nuova opera. Tornato a Vienna, Mozart ne aveva parlato con Lorenzo Da Ponte, che così ricorda i giorni del Don Giovanni: «Scriverò la notte per Mozzart (sic) e farò conto di leggere l'Inferno di Dante. Scriverò la mattina per Martini e mi parrà di studiar il Petrarca. La sera per Salieri e sarà il mio Tasso [...]. Una bottiglietta di Tockai alla destra, il calamaio nel mezzo e una scatola di tabacco di Siviglia a sinistra. Una bella giovinetta di sedici anni (ch'io avrei voluto non amare che come figlia, ma...) stava in casa mia e venia nella mia camera a un suono di campanello, che per la verità io suonavo assai spesso». Fu Da Ponte a suggerire a Mozart il Don Giovanni come soggetto della futura opera. Scritto da Tirso de Molina nel 1630, rielaborato da Molière nel 1665 e da Goldoni nel 1736, il tema del "burlador de Sevilla" era popolarissimo in tutta Europa ed era stato da poco messo in musica a Venezia da Giuseppe Gazzaniga su testo di Giovanni Bertati. Niente di più facile per Da Ponte che scopiazzare (migliorandolo notevolmente) il testo di Bertati invece che inventare una trama nuova su un altro soggetto.
Mozart cominciò a lavorare alla musica a Vienna, ma lo spartito fu scritto quasi tutto a Praga, sotto l'influsso di una ispirazione straordinaria. Goethe sosteneva che il Don Giovanni non fu "composto": «Una composizione? Come se si trattasse di una focaccia fatta di uova e farina? No. Mozart ha realizzato quanto gli imponeva lo spirito demoniaco del proprio genio, dal quale era posseduto». Demoniaco è l'aggettivo che torna di più, nelle letture su quest'opera, e la musica ci fa spesso percepire come Mozart fosse affascinato proprio da questo aspetto del personaggio. Il fascino di Don Giovanni non sta tanto nel fatto che riesca a conquistare tutte le donne, ma nel suo essere continuamente mosso da un impulso di sensi primordiale verso la vita e il piacere, che diventa pericoloso solo perché privo di ogni inibizione. Don Giovanni è un farabutto, ma quale uomo non vorrebbe essere un poco come lui e quale donna non vorrebbe averlo intorno? I tre personaggi femminili dell'opera, Donna Anna, Donna Elvira e Zerlina, sono combattuti tra l'esigenza di condannarlo e la tentazione di cedere alle sue lusinghe. Per tutto il dramma, il comportamento di Don Giovanni urta contro le leggi dell'ordinamento sociale nel quale agisce, ma la collettività non è in grado di liberarsene: né le tre donne, né certo i due personaggi maschili. Masetto, fidanzato di Zerlina, è un servo e nulla può contro il padrone; Don Ottavio, promesso sposo di Donna Anna, è un cicisbeo privo di carattere, che parla ma non agisce. Soltanto un altro demone potrà trascinare questo demone all'Inferno: il Commendatore, padre di Donna Anna che Don Giovanni ha ucciso all'inizio dell'opera, e che torna nel finale sotto forma di statua (il Convitato di pietra) a chiedergli conto dei suoi peccati. A Vienna, il Don Giovanni fu accolto con freddezza. «Troppo complicato per le nostre orecchie», sentenziò l'imperatore. Un anonimo critico gli rispose indirettamente: se ai viennesi non era piaciuto, era perché avevano portato in teatro solo le orecchie, e avevano lasciato a casa il cuore.
Vittorio Sabadin (da www.sistemamusica.it)