Danze antiche e musiche di corte
Ascoltare un concerto di musica barocca significa partecipare alla festa di un intero mondo, unito per celebrare valori comuni, creatività, schemi sociali e religiosi in equilibrio apparentemente perfetto. Per superare il senso di distacco dall'artificiosità di ciprie e nèi finti, l'uditore moderno può disporre l'animo al passaggio lungo un labirinto di specchi, che riverberi in quel mondo altri infiniti mondi.
Crediamo che la world music sia un'invenzione recente; in realtà, quando Haendel accostava nelle proprie suite danze d'origine britannica come hornpipe o country dance accanto a minuetti o bourrée in stile francese, larghi alla siciliana e jig irlandesi non faceva altro che solleticare la curiosità dei cortigiani avidi - come noi oggi - di passi diversi, sonorità puntuali e geograficamente connotate. Nel caso della Suite in re maggiore per tromba, archi e continuo, l'acqua fa da specchio, giacché si tratta di una trascrizione d'epoca, presumibilmente non autorizzata dall'autore, d'alcuni movimenti della Water Music. Nelle gite in barca di Giorgio I, lo scrosciare del Tamigi doveva essere simile al rumore di fondo di un proiettore che illumina la notte con una serie di brevi storie musicali d'altre corti, milizie, terre.
Nonostante il dominante ruolo della musica nella vita di corte, proprio come capita nel nostro tempo, insieme alle doti musicali era essenziale sviluppare capacità imprenditoriali. Haendel non era così abile nel lucrare sul proprio talento, difatti correvano in aiuto amici speculatori come John Walsh, che pubblicava brani nati per occasioni precise e in situazioni circostanziate adattandoli alle esigenze del mercato. Capita così per i Concerti Grossi, scritti per introdurre o intervallare opere, oratori o inni e raccolti sotto quel nome affrancato dai lavori di Corelli, Gemignani e Venturini: l'eco del loro successo era giunta alle orecchie dell'editore, che fiutò l'affare. Molto attento alla carriera e al guadagno era, al contrario, Telemann. Dominava la vita musicale di Amburgo: si offriva di ricoprire gli incarichi più disparati, dalla direzione artistica di teatri d'opera a commissioni di circostanza per la corte, dall'editoria all'insegnamento. A questo proposito, non era sfuggita alla sua indole imprenditoriale l'importanza della categoria studentesca - professionale o amatoriale che fosse - per la diffusione e l'apprezzamento delle sue opere. Per ciò il catalogo delle composizioni, dall'autore stesso redatto a stampa, ne include molte a carattere didattico. La musique de table è una di queste. Non si tratta di musica da eseguire mentre selezionati commensali si abbuffano, bensì un esercizio d'alta cucina musicale, dove gli strumentisti combinano gli ingredienti più ricercati per imbandire una tavola di piatti sonori appagante per tutti i sensi, non solo l'udito, ma anche la vista, il tatto e, perché no, l'olfatto.
C'è una ragione più profonda nelle scelte esistenziali di Telemann, che dimora nella natura del suo talento. Egli appartiene a quella categoria d'artisti che ripongono tutto il loro talento a servizio dei vivi, dell'immanente, Johann Sebastian Bach, no. Lui scrive per il dopo, l'altro, mosso da una forza che dimora un po' dentro di sé e un po' fuori del mondo. Nel mondo s'accontenta di raccogliere le briciole lasciate dai colleghi di minor talento, ma più bravi a giocare di società (infatti, ricopre il posto di Kantor alla chiesa di S. Tommaso a Lipsia, rifiutata da Telemann). E anche nei brani d'occasione come le sue ultime ouverture orchestrali BWV 1067 e 1068, dietro a esercizi di stile cresce una selva di simboli che pongono in rapporto dialettico l'apparenza con il vero. La conoscenza non ha bisogno d'immediati riconoscimenti, non segue i tempi degli uomini.
Gianni Nuti (da www.sistemamusica.it)