Da Liszt a Ligeti: la travolgente musica ungherese
Il problema di quei paesi europei – quelli dell'Est e quelli scandinavi – che nel corso della seconda metà dell'Ottocento cercarono di costruire la propria autonomia culturale emancipandosi dal giogo dei paesi di più antica tradizione – Italia, Francia, Germania-Austria per la musica – era quello di dare voce al patrimonio musicale autoctono senza sacrificarlo alle esigenze di una moderna vita musicale, necessariamente derivata da forme e strutture appartenenti a un'altra cultura. Se i teatri sono "all'italiana", i balletti "alla francese", le società di concerti "all'inglese", le accademie "alla tedesca", e le forme della musica scritta quelle della tradizione classica viennese, quale possibilità potrà mai avere una musica che si dichiari "nazionale" di esprimere l'autentico carattere di un popolo?
Giusta o sbagliata che fosse questa domanda, ai tempi, era questo il grande ostacolo da superare, al punto che molto spesso i due corni del problema si materializzavano in due opposte fazioni che si fronteggiavano: i rivoluzionari indipendentisti da un lato e i classicisti filo-europei dall'altro. Senza la presenza delle grandi personalità che riuscirono a catalizzare queste spinte e a convogliarle in opere d'arte compiute, le cosiddette "scuole nazionali" non sarebbero mai nate. Non è un caso, infatti, che nei paesi in questione questi eroi musicali vengono venerati e celebrati come dei veri e propri padri fondatori; così la Boemia ha Dvorák e Smetana, la Finlandia Sibelius, la Danimarca Nielsen, la Norvegia Grieg, e via dicendo.
L'Ungheria non fa eccezione, ma è forse un caso a parte vista la statura dei protagonisti della sua storia musicale. Il primo tra tutti è sicuramente Liszt, che fu non a caso nominato presidente dell'Accademia Nazionale di Musica di Budapest quando questa venne fondata nel 1875 (Budapest era all'epoca una città già importante musicalmente proprio grazie a Liszt che dal 1869 aveva deciso di passarvi sempre più tempo favorendone, attraverso la sua attività di pianista, compositore e didatta, lo sviluppo musicale).
La fondazione dell'Accademia fu il segno tangibile della volontà di creare una propria tradizione musicale e fu infatti all'interno delle sue aule che prese forma la nuova Ungheria musicale. La scelta di Liszt non era stata soltanto una questione di prestigio: l'aver messo a capo della massima istituzione musicale del paese un compositore impegnato a fondere nella propria musica il folklore magiaro con le forme del Romanticismo tedesco faceva ben intendere che la creazione di una scuola nazionale dovesse passare per lo stesso cammino, e cioè tenere conto del patrimonio popolare da un lato e della tradizione colta dall'altro.
La realtà musicale ungherese era però ancora scissa in una dolorosa dicotomia: i musicisti di professione venivano educati esclusivamente secondo la tradizione mitteleuropea e la musica nazionale era rappresentata dai dilettanti di strada e dalle corali di amatori.
Il compimento dell'opera fu il frutto degli sforzi e del talento di tre grandi personaggi che formano un triunvirato ideale, a cui va attribuita la paternità della scuola ungherese. Il più vecchio dei tre è Ernö Dohnányi (nato nel 1877): il più grande pianista ungherese dopo Liszt, compositore filo-brahmsiano, anche se profondamente legato al melos della sua terra, ma soprattutto infaticabile sostenitore della necessità di portare le novità musicali a un pubblico sempre più vasto, tenendo in piedi con una quantità impressionante di concerti l'intera vita musicale di Budapest. I due più giovani sono nell'ordine Zoltán Kodály (nato nel 1881) e Béla Bartók (1882), che quando nel 1905 incominciarono a raccogliere e a trascrivere in modo scientifico i canti popolari delle campagne, segnarono una svolta epocale nella storia della musica, non solo ungherese: il primo fu pianista, compositore, didatta, musicologo e credette a tal punto nel suo visionario progetto di educazione musicale che da allora il metodo Kodály, basato sul canto popolare, non è solo il metodo ufficiale per l'insegnamento della musica nelle scuole d'Ungheria ma è usato in tutto il mondo; il secondo riuscì a formalizzare le particolarità melodiche e ritmiche della musica folklorica e a fecondarle con le istanze espressive delle poetiche europee del Novecento, aprendo così una terza strada tra Neoclassicismo ed Espressionismo.
Nata dall'ideale libertario e popolare della musica di Liszt e alimentata dalla incrollabile fiducia che Dohnányi, Kodály e Bartók nutrivano nelle potenzialità creative del proprio popolo, la vitalità della scuola musicale ungherese sarà destinata a soccombere di fronte ai totalitarismi (di destra prima e di sinistra poi) che devasteranno la società ungherese dopo la breve parentesi post-bellica del governo popolare di Béla Kun.
La terza data da ricordare è allora quella conclusiva e tragica del 1956, l'anno dei carri armati sovietici, l'anno dell'esilio volontario di György Ligeti. L'anno dopo sarà il turno di un altro grande, György Kurtág, che lasciata la sua terra per studiare a Parigi vi farà però ritorno a tenere alta la memoria di Bartók e della sua scuola all'Accademia di Budapest.
Alberto Bosco (da www.sistemamusica.it)