Cantare la storia
"Perché non ci canta qualcosa?" Quest'ipotetica domanda, rivolta a un'ipotetica diva del bel canto in un ipotetico salotto, potrebbe con buona probabilità essere l'incipit per una storia del recital per voce e pianoforte. Ancora oggi, passati dal salotto al teatro, dopo secoli di concerti pubblici, l'atteggiamento degli spettatori è rimasto pressappoco quello del "ci canti qualche cosa", soddisfatto egregiamente dai cantanti, che solitamente si regolano di conseguenza. Così in una stessa serata si ha il privilegio di poter viaggiare nel tempo da un'Aria di Haendel a un Song di Weill, passando per un Lied di Schubert e una cavatina rossiniana, senza soluzione di continuità, ascoltando un programma che è in realtà tutto un fuori programma.
Potenza del canto: in grado di riunire sotto lo stesso vessillo mondi musicali lontanissimi e senza alcuna relazione, permettendo così ai grandi divi dell'ugola di fare ciò che da tempo ormai neanche i solisti di strumento più sprovveduti si azzardano a fare, cioè esibirsi in concerti senza capo né coda. Fortunatamente a poco a poco si sta facendo strada l'idea che strutturare un programma in modo coerente è un'arte tanto quanto lo è il cantare e il recitare, e richiede una consapevolezza artistica che non è da tutti.
Un'alternativa ai cosiddetti programmi-insalata, per esempio, è costituita dai recital monografici, cioè dedicati a un solo autore: ballate di Loewe, arie verdiane, ecc. Certo, in questo caso l'unità è garantita, ma al di là della mania, tutta moderna, per l'opera omnia e per le esecuzioni integrali, questa soluzione non soddisfa del tutto e ha l'immancabile inconveniente di adagiare pubblico e esecutori sulla stessa lunghezza d'onda per l'intero arco del concerto, rinunciando già in partenza a quelle inattese illuminazioni che degli accostamenti azzeccati sono in grado di regalare.
C'è chi tenta di aggirare l'ostacolo monotonia, attraverso l'idea del concerto a tema: Scene di follia, Il tradimento amoroso e via dicendo. Come nelle equivalenti serate liederistiche che accostano brani scritti da diversi musicisti su testi di un solo autore o addirittura sullo stesso testo, anche qui il rischio è che i collegamenti siano solo di natura intellettuale. Cioè, che quei fili faticosamente ricercati in realtà funzionino solo sulla carta, e non abbiano poi nell'esecuzione una presa convincente sull'ascoltatore; il che per un recital vocale è una condanna al fallimento, a prescindere dalla qualità dell'interpretazione.
Per mettere insieme unità e varietà, resta ancora aperta la strada affascinante della ricostruzione storica, del tentativo di ricreare, attraverso una scelta sapiente del repertorio, non solo il clima e il carattere di un'epoca ma anche le contraddizioni e le costanti con una selezione trasversale, che abbracci paesi diversi, temi comuni e autori di spiccata personalità.
Non ci sono dei criteri oggettivi da seguire per queste operazioni: l'artista ci invita a rivivere con lui l'atmosfera di un colto salotto musicale di inizio Novecento.
Da www.sistemamusica.it