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Bruce Springsteen

 

"Cause tramps like us, baby we were born to run...", era il 1975, io sarei nato 11 anni dopo e non avrei scoperto il Boss prima di altri 16. Tra la pubblicazione di "Born To Run" ed il giorno del mio acquisto passano 27 anni: "Born To Run", probabilmente uno dei più importanti long playing di rock'n'roll mai suonati.
Bruce Springsteen non rappresenta solo un cantante che vive di rock'n'roll e Cadillac fiammanti, ma incarna la dura realtà americana, quella arrivata tardi per bere alla sorgente del sogno, quella sfruttata e spaccata, senza diritti, l'America che noi non vediamo, l'America della realtà stradaiola, quella del Kerouac di "Sulla Strada", quella di Charles Bukowski, quella consapevole che non aveva niente in comune con l'ottimismo imperante.
Il primo urlo arriva nel 1972, anno di "Greetings from Asbury Park", un disco acerbo tra Bob Dylan e Van Morrison che lascia capire quello che di lì a poco sarebbe arrivato. L'album è molto meglio di certi ovattati dischi moderni, e "It's Hard To Be A Saint In The City" lascia il segno. Neppure un anno di distanza e si vede sugli scaffali un secondo disco a firma Bruce Springsteen: "The Wild, The Innocent And The E-Street Shuffle", album sottovalutato da molti ma con una canzone epocale come "Rosalita", una delle più belle mai scritte dal rocker di Freehold. La fama del giovane Bruce andava consolidandosi con live di fuoco per tramite di un ensemble che includeva tra gli altri Danny Federici, Clarence Clemons e Gary Tallent. L'attenzione dei mezzi di stampa comincia ad esserci e si decide di investire, si costituisce una vera e propria band, quella che da lì in avanti entrerà nella leggenda del rock, incarnandone spesso il significato stesso: la E-Street Band, con Steve "Little Steven" Van Zandt alla chitarra, Max Weinberg alla batteria, Roy Bittan al pianoforte e i già citati Federici alle tastiere, Clemons al saxofono e Tallent al basso. I concerti sono oramai il vero marchio della ditta, e proprio ad uno di questi Bruce conosce Jon Landau, che scriverà il più famoso prologo della storia: "Ho visto il futuro del rock'n'roll, ed il suo nome è Bruce Springsteen".
E' il 1975, e quando esce "Born To Run" è subito successo, che fa apparire il faccione del ragazzo '100% American' su Time e Newsweek: comincia l'età dell'oro, Springsteen riesce a bere alla sorgente del sogno.
Concerti, concerti e concerti: assistere ad un live è una cosa pazzesca, la filosofia della band è quella di suonare sempre al meglio, perchè il pubblico non si vedrà di sicuro tutte le performance successive. Eventi lunghissimi, 3-4 ore, lui a decidere scalette sempre diverse, pathos da vendere, praticamente suscitava da solo l'emozione che riescono a darti tutti i gruppi nu-metal messi assieme, e forse non ci riescono neanche. Su "Thunder Road", "Born to Run", "Rosalita" e "Jungleland", il popolo dei loser trova un paladino della giustizia, un uomo in cui identificarsi, e Bruce Springsteen diventa il Boss.
1978, siamo allo stardom, ma "Darkness on the Edge of Town" non tradisce le aspettative: pezzi come "Badlands", "Adam Raises a Cain", "Promised Land", "Prove it all night" e la title-track rendono l'album epico, disco che perde solo di poche spanne la sfida col precedente, ma comunque importantissimo e sottovalutato da molti. Si vive sulla strada, la musica che unisce Bob Dylan, Elvis Presley, Otis Redding e Van Morrison conquista il mondo, e nel 1980 il Boss viene consacrato a stella totale con il doppio album "The River", disco spesso paragonato a "Blonde on Blonde" del menestrello di Duluth, un album che ibrida la vera musica americana: è il disco meglio suonato dalla band e diventa un pezzo di storia.
Bruce Springsteen é ormai una leggenda, ma continua a sopportare un peso, e decide di sfogarlo in un album da molti considerato come il suo migliore in assoluto: "Nebraska". Chi ascolta il disco, edito nel 1982, si ritrova un Boss acustico: lui, la sua chitarra e il suo registratore quattro piste, canzoni dolenti, che guardano in faccia la realtà; musicalmente ispirato da Hank Williams, Woody Guthrie e Bob Dylan, definisce un nuovo capitolo post moderno per la musica folk.
Giungiamo al 1984. 18 milioni di copie vendute, la consacrazione a rockstar intercontinentale. "Born In The USA" è un successo in tutto e per tutto, da nord a sud, da ovest ad est si cantano inni da stadio come "Dancing in the dark" e "Glory days", ballate come "My hometown" e "I'm on fire", e soprattutto quella "Born in the USA" entrata nell'immaginario collettivo come la canzone per eccellenza di Bruce Springsteen. "Born down in a dead man's town, the first kick I took was when I hit the ground": lo stesso Boss durante il concerto di Bologna introduce la canzone dicendo in italiano: "questo brano l'avevo scritto per la guerra del Viet Nam, ora è la mia preghiera per la pace".
Miliardario, appagato, Bruce Springsteen non trova però la felicità familiare. Dopo aver visto fallire il matrimonio con una super top model, il nostro riesce a trovare riparo ed amore sposando la corista Patti Scialfa. Seguono tre album senza la E-Street Band, tre album considerati minori, tre album interlocutori, personali e un po' fiacchi: "Tunnel of love", "Human touch" e "Lucky town". Mentre il primo disco cela al suo interno pezzi comunque interessanti come "Tougher then the rest" e "Be true", i due album seguenti, pubblicati lo stesso giorno dello stesso anno, il 1992, sono i più brutti dell'epopea del Boss. Dopo essere stato in tournée con un gruppo di ottimi session man, mai comunque all'altezza del pathos della SUA band, Bruce Springsteen decide di pubblicare un disco dolente, ritornando al folk di "Nebraska": "Ghost of Tom Joad" é un disco molto passionale, non solo a base di voce e chitarre, appaiono difatti anche tastiere e batteria, ed il risultato non è da scartare.
Altre sono le iniziateve del nostro, che nel 1995 pubblica un "Greatest Hits" con diversi inediti quali "The streets of Philadelphia", "Secret garden", "Murder encorporated", "Blood brothers" e "This hard land". Di album in studio non se ne vedono più, ma viene dato alle stampe un cofanetto di inediti, "Tracks": 4 CD, 64 canzoni, ed un live, "Live in NYC", con la E-Street Band al gran completo, e nonostante l'età media si aggiri intorno ai 50 anni si sente ancora che nessuno riesce a suonare il rock'n'roll come loro.
Il 2002 è l'anno del grande ritorno. "The Rising", album stupendo, a volte criticato, a volte esaltato, un disco di vero e proprio rock prodotto da Brandon O'Brien, raccoglie 15 episodi, molti dei quali ispirati dai fatti dell'11 settembre. Il platter sciorina alcuni cavalli di battaglia live come "The Rising", "Waitin' on a sunny day", "Countin' on a miracle", "World's apart", "Lonosome day" e "Empty sky".
1972-2002. Trent'anni di carriera, live infuocati a tutt'oggi, il Boss è la quintessenza del rock: ribelle, da vivere sulle strade, semplice, divertente. Non si può raccontare un concerto di Bruce Springsteen, bisogna viverlo... E posso affermare con certezza che Bruce Springsteen e la E-Street Band sono l'unica rock'n'roll band del pianeta. La migliore rock'n'roll band. 

 

Hamilton Santià