Brahms, un Requiem per la vita
L'immunologo francese Jean Claude Ameisen sostiene che solo le cellule organizzate in sistemi organici complessi (eucariote) muoiono, mentre le semplici (procariote) si perpetuano duplicandosi in continuazione, ed è molto probabile che proprio l'invenzione della morte abbia consentito la creazione degli organismi complessi. Questa scoperta cambia le coordinate del nostro pensiero sul morire: non è annientamento in questo modo, ma scultura di forme nuove, di architetture ricche e di armonie rigogliose. Sarà per questo che sotto l'edificio monumentale del Requiem tedesco di Brahms, generoso di chiaroscuri, di torrioni, merli e modanature musicali scorra come acqua un sentimento semplice di laica speranza, una fiduciosa convinzione che non tutto sia perduto. Non solo grazie all'impatto sonoro massivo, avvolgente come una coperta termica, capace di farci sentire tutti un po' borghesemente stretti da un calore comune, seppur buio; non perché ci sentiamo trascinati da una corrente ascensionale irresistibile quando dalle viscere lievitano lunghi crescendo corali e nemmeno perché l'oboe, suscitando con garbata discrezione la sua melodia come un fumo sottile, sembra concedere una voce di preghiera privata, uno spazio personale entro il quale elevare la propria supplica, domandare con curiosità ai vivi come sarà il dopo. L'acqua è chiara perché sembra una grande elegia, ossia un lamento amoroso che sa cullare gli uomini come le pie donne sanno adagiare il Cristo nella Deposizione del Beato Angelico (Pala di San Marco) con andamenti ritmici ed eufonie che rendono dolce il contatto con la terra, lasciano immaginare come possa risultare intenso e lieve lo stato dell'essere sgravato dalla carne. E i testi scelti dallo stesso compositore dalle sacre scritture – compresi i vangeli apocrifi – e liberamente accostati rinforzano i pensieri di consolazione ricordandoci, come l'immunologo francese, che è una questione di trasformazione, non di annullamento.
Tra i sette movimenti in cui è suddiviso il Requiem le parole di evangelisti, profeti e poeti autori di salmi tessono una rete virtuale che intreccia rassicurazioni sulle raccolte future a risarcimento delle fatiche presenti, esortazioni a pazientare come un contadino davanti al campo seminato, con pacati moniti su "come un nulla" siano "tutti gli uomini che pure vivono così sicuri" e "creano invano tanto tumulto", ma rassicurazioni per i giusti, ossia coloro che hanno opere compiute da portare in pegno con sé "all'istante dell'ultima tromba" (come l'artista, che fatica nel cercare le cellule semplici e immortali creando sistemi formali complessi): per loro sono riservate amabili dimore.
Ho recentemente vissuto qualche tempo accanto a un giovane malato terminale attaccato alla vita come chi ritiene di non avere lasciato ancora segni duraturi tra le zolle e ho imparato che, se il dolore sembra eterno, la disperazione ha tempi brevi, è umanamente sostenibile solo per pochi istanti. Il resto è occupato da gesti, anche mentali, asciutti e radi in contrappunto su ampi respiri. Intorno i cari si accaniscono a spiegarsi l'inspiegabile concertando mormorii accorati, periodicamente cumulati in accesi corali di ribellione, passeggiano lenti come in processione da una stanza all'altra, con calici e ostensori colmi di inutili medicamenti. Eppure, sarà per i silenzi delle notti insonni che pesano sul giorno, sarà per l'intensa lentezza da cui tutto è mosso, di un quieto bordone è fatta la morte, di dolci invocazioni cantate, di melodiche speranze di vita. Fa bene ascoltare questa musica antica di un secolo e mezzo, capace di evocare senza deformità, putredini e furori implacabili un sentimento della fine che convinca del fatto che anche la morte è vita.
Gianni Nuti (da www.sistemamusica.it)